a cura di Rosanna Frattaruolo
6 Dicembre
Sei dicembre, ecco, il sei dicembre di sette anni fa cominciava il nostro abitare insieme.
Che sarebbe durato solo un inverno e una primavera, con tempeste.
È stato il tempo più bello di tutta la mia vita.
6-12-18 una tabellina in crescita la data di quel giorno.
Arrivasti verso sera con la tua Peugeot, poi subito venduta, in città non serve e non ci sono soldi.
Arrivasti come previsto, ma io tutto il giorno in ansia.
Temevo che tu cambiassi idea all'ultimo momento.
Sono molto insicuro, lo sai.
Arrivasti con la macchina piena di scatole ordinate, un trasloco minimo, l'essenziale.
Io avevo pulito tutto, messo tutto pulito dappertutto, che non è il mio forte.
Una sera bella. Sistemammo le cose, parlammo.
Ti dissi che potevo dormire nel soppalco, lasciando a te il lettone.
Rispondesti che volevi che dormissimo insieme.
Così facemmo l'amore e poi tu ti addormentasti tranquilla.
Io rimasi a lungo sveglio a guardarti.
Il paradiso, se esistesse, sarebbe qualcosa come guardarti dormire tranquilla.
Andò bene, per un tempo.
Arrivasti a dire che ti stavo insegnando con il mio amore ad amare te stessa.
Se ci fossi riuscito davvero, era un buon motivo per essere nato.
Alla fine, invece, no.
Ma che giorni, quei giorni.
Pieni di cose che neanche mille anni.
Ma sono passati invece piccoli anni scivolosi.
La tua morte, la morte che ti sei data, non si colloca, non può essere.
Provo a misurare il tempo, come adesso quest'anniversario dell'abitare insieme.
Sarebbe la crisi del settimo anno? Magari!
La sensazione fisica è di avere la gabbia toracica vuota.
Tu nel letto mi appoggiavi l'orecchio al petto per ascoltarmi il cuore.
È così.
Mi sa che disapproveresti questa commemorazione.
Ma scusami, qualche cosa devo ben fare
intanto che mi hai lasciato qui da questa parte:
in questa vita che per la scienza e i materialisti è l'unica
ma io non lo credo. Non so come, non so niente, ma
ci rivediamo, vero?
Intanto annoto questo settennale d'un sei dicembre
luminoso. Il mondo non sta girando bene.
...«tra le ossa fini
dilaniate non potevo
respirare senza ridere» - hai scritto - è davvero così
ma si prova a lottare per un mondo migliore
perché non sia solamente un macello
«partecipo coi resti
a un'indicibile
disperazione» - hai scritto - però
non sopportavi i soprusi, aiutavi
le persone, ti veniva spontaneo
quando il buio lasciava uno spiraglio.
Passeremo in fessure, intercapedini
fra le cartilagini del mostro
ci passeremo ancora, romperemo
quest'assedio, uccideremo il mostro
che ha vinto, che vince, che sembra invincibile.
Ti vedo scettica. Ma lasciami sperare, lo dicevi
che sono un bambino come te, quel sei dicembre
di sette anni fa fu un abbraccio trascendente
ogni misura e natura, io così sento, tu adesso
già vieni a trovarmi, in deliri o visioni, come puoi
e come vuoi, nei sogni, come va, dove sei?
In copertina, L'abbraccio conteso di Elisabetta Cosset (Ceramics in Love 2025, Castellamonte) 7 settembre 2025, ph. R. Frattaruolo
Carlo Molinaro (Vercelli, 1953), nel 1972 si trasferisce a Torino, ove consegue laurea in Lettere con indirizzo linguistico-semiologico; ha lavorato dal 1977 al 2003 alla UTET, collaborando al Grande Dizionario della Lingua Italiana. Premio Montale, alla prima edizione, con Poesie, in Sei poeti del Premio Montale (Scheiwiller, 1986). Ha scritto due romanzi e, in versi, tra l’esordio con La parola vacante (1982) e l’ultimo Un garbo libero (Edizioni del Faro, 2022), ha pubblicato più di quindici raccolte, tra cui Tenui chiose al tempo (1992), Quaranta frammenti per Monica (1997), Entro incerti limiti (2002), Sospeso sogno (2003), l’antologico La parola rinvenuta (2006), Una città (2010), Rinfusi (2011), Le cose stesse (2013), Nel settimo anno (2016), L’effimera commedia (2016).




