a cura di Antonio Corona

Scavi 

alle parole inutili, agli sguardi muti, ai gesti ripetuti, ai corpi assenti
non vorrei riempire nessun vuoto e nessuna ragione, ancora scavare
scavare nel sottobosco dove le radici cercano il linguaggio dell’essere
su quel tronco che si dirama e si fa grembo rinascono i giorni persi
solo gli sguardi piegati dall’assenza ritrovano i caldi grumi di senso
il rosso respira e aspetta che tutto torni nel bianco, come all’inizio
unghie rosa di tempo sgranano il silenzioso rosario del suo canto.

*

Materiali

nel cassetto abitato riposano sassi leggeri svuotati del peso che li sosteneva
piume e penne colorate si concedono libere all’aria, in memoria di un corpo
insieme a conchiglie disabitate, pregne di quell’odore di assenza di vita
farfalle rinsecchite fermate in volo, inconsapevoli di essere giunte alla fine
legni consunti dal procedere del tempo e dall’avvicendarsi delle stagioni
gusci occupati da altri corpi in fuga, verso una nuova identità senza nome
frammenti di argilla cercano invano di combaciare nella forma iniziale
morbida sabbia che conserva il silenzio del mare e la litania del vento
chiuso il sipario immagini che lì giacciono, insieme ai sapori della perdita.

*

Misure

vorremmo essere tutti compresi in quello spazio delimitato dal nome
sfuggiti al pensiero di essere dimenticati o riconosciuti per i lineamenti
e per tutto ciò che estraneo sfugge al contenuto di un essere interno
al senso, di un procedere avanti e indietro per tentativi sopra e sotto
il limite attribuito al disegno primordiale di una parola che si generò
in una notte buia, prima che la lingua potesse annunciarne la venuta
in attesa di essere allontanati dal luogo di origine verso l’altrove, corpi
"allineati sulla riga attendiamo il turno e la destinazione sconosciuti".

*

Movimenti

se tu fossi qui nella dimensione giusta potrei segnarti i contorni
sfogliando la finta leggerezza di quella linea che attende solo
di essere perfetta, nell’entrare a far parte della sequenza d’amore
quando lei mostrava del viso il lato oscuro del personaggio che
non poteva nominare perché la sua storia non prevedeva battute
a vuoto che potessero riempire di silenzio l’assenza di immagini
solo nel riflesso dell’occhio si poteva scorgere il suo movimento
"di quel vivere sull’onda in un procedere tra incerti spostamenti".

*

Un corpo estraneo

le parole sono pietre, tu non sai tenere la distanza dalle mie labbra
inserire le pinze della metafora nel ventre, la pagina si apre umida
gli eventi ormai precipitano e le parole evaporano prive di sostanza
nel testo c’è un corpo estraneo, la ferita è stretta devi aprire le labbra
tu non sai tenere la distanza dal testo, le parole scivolano sulla carta
la ferita non può essere suturata, prendi le giuste misure del suo corpo
solo il giardiniere conosce la giusta distanza tra la bellezza e la grazia.

Dalla postfazione di Giorgio Bonacini

È ancora possibile parlare di poesia d’amore all’interno di ciò che chiamiamo poesia di ricerca? Dove la parola ha come referente se stessa e contemporaneamente designa un reale esterno che le permette di scrivere? Leggendo questa raccolta di Massimo Rizza, la risposta è sì, ma soltanto se si riesce a mantenere distinte, e simultaneamente intrecciate con forza, le due dimensioni che ne rendono viva la sostanza poetica: l’intima autoriflessività che rende concreto l’elemento linguistico e la propensione a muoversi verso le cose del mondo. Cominciamo col dire che questa, anche se le pagine sono differenziate in sezioni con i propri titoli, non è propriamente una raccolta di poesie suddivise per se stesse sufficienti, perché leggendo si rende evidente l’intento di affrontare un argomento specifico, pur non articolato in modo compiuto. Non è una distinzione di poco conto. […]
Ci troviamo così di fronte a un insieme di liriche che, senza lirismo o poeticità convenzionali, riescono a percorrere e calpestare una strada, dislocando la presenza dell’io in varie collocazioni mobili, a tal punto da rendere spesso indistinguibili soggetto e scrittura. Le interconnessioni tra sogno e realtà, immaterialità e attrito, prendono vita in un continuo fluire inconsapevole, o solo latamente conscio, di avere inizio e fine. Nonostante ciò, non viene mai meno, nell’unità e non unità di questo testo, la costante interconnessione che agisce e riemerge anche in un solo verso il suo corpo velato e racchiuso più che cercarsi tra le pieghe del senso […].


Massimo Rizza è è nato a Sesto San Giovanni e vive a Segrate (Mi). E’ laureato in pedagogia e ha operato nel campo dell’istruzione in qualità di dirigente scolastico. E’ condirettore della rivista letteraria Il Segnale. Ha pubblicato la raccolta poetica Il veliero capovolto, Ed. Anterem (2016). Nel 2017 e nel 2021 ha vinto il Premio Letterario Interferenze, Bologna in lettere, per la sezione poesie inedite. Suoi testi narrativi sono pubblicati in blog e antologie e on line sul sito della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari. Testi di poesia, critica e saggistica sono apparsi su riviste letterarie italiane, tra le quali: “Anterem”, “Capoverso”, “Erba D’Arno”.

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