
“La memoria del sale” di Erika Signorato
di Rosanna Frattaruolo
Il libro, senza alcuna partizione, si muove come un canzoniere. Così scrive Ivan Fedeli nella prefazione, evidenziando come «Ogni movimento poetico [sia] parte integrante di un disegno ideale da cui discende, tutto si completa solo se è parte di un intero. Così, nell’economia del libro, coesistono frammenti lirici di una purezza estrema […] e altri legati all’intimismo […]. Così acquista senso il paesaggio-sfondo […] e si integra nella sua ricomposizione emotiva[…]» (p. 6).
La memoria del sale (puntoacapo editrice, 2025) si snoda in un viaggio che inizia già prima di mettersi in cammino, che tocca luoghi (Trieste, Vienna, Verona, Roma, solo alcuni), nei quali la biografia di Signorato si intreccia con i paesaggi, contaminandoli di partiture musicali. Interessante la scelta della poeta di collocarsi nello spazio, rendendo espliciti i luoghi, senza mai fissare le coordinate del tempo. È un espediente che vuole forse restituire al lettore un’esperienza sospesa, dove è la stessa memoria (quindi la percezione del tempo) a divenire spazio abitabile.
I versi «si piange / finché ha memoria il sale» chiudono il testo di p. 23, che dà titolo all’intera raccolta. Il sale, nella simbologia antica, è la memoria fisica del mare, del pianto, del sudore, è ciò che resta di un’esperienza, la traccia tangibile di un’emozione che svapora. Il sale conserva, è custodia, ma è anche ferita e, quindi, corrode: è il residuo della vita vissuta, del dolore, del desiderio, dell’amore carnale che si dissolve, lasciando traccia sulla pelle; è la memoria del dolore, del lutto o della mancanza, nella consapevolezza che quel che si è perso continua a vivere in quella sensazione di bruciore, nel ricordo che punge e fa sentire vivi.
La memoria del sale è un’esplorazione che Signorato fa, rendendosi conto di quanto sia «sottile la palandrana della nebbia» e che v’è solo l’illusione di sentirsi protetta, non vista. Si ritrova invece nuda e visibile nella fragilità del pianto (p.11), spezzata «a singhiozzo la [sua] figura», in attesa «di andare, non [sa] dove» (p.15). Ma «è tempo di mieterlo in dolore, / separare i grani di parole // e tra le mani a spighe la poesia» (p. 17) ora che la «corteggia ormai l’autunno / quando la terra imbruna». Il viaggio che attraversa la raccolta non si limita a spazi concreti, ma esplora paesaggi interiori, in un’interferenza continua tra il dentro e il fuori vissuta in chiave sinestetica: «non so dei raggi / a tessermi / o a trafiggermi» (p. 29).
Tale sinestesia è amplificata dalle abilità musicali dell’autrice, che adopera il linguaggio tecnico per costruire metafore puntuali e vibranti. I testi, costruiti sullo sguardo che l’autrice rivolge al mondo, si aprono a una contaminazione sensoriale di profumi e suoni che ne amplia la risonanza emotiva ( «di che nota i papaveri / ostinati nel maggio, / un rosso che s’incarna // – memorie, fili – / sono robusti i sogni / quando cantano radici» p. 30). Molto intrigante e ben formulato il rapporto tra ambienti marini e sonorità: a Wien il linguaggio musicale (arcate, vibra, afona, battute e cadenza) s’interseca profondamente con il paesaggio acquatico, al punto che lo spartito risveglia la voce del mare e l’onda sonora viene attesa come una mareggiata (p. 12); a Trieste ancora un’interferenza tra il suono del «violino // naufrago legno […] // ai flutti dell’Audace / arenato / tra sinfonie di bora» e la «Mareggiata improvvisa / l’anima // [che] sale, vibra / stranisce il suono / e non risolve» (p. 18). Qui è il mare che genera il ritmo, a Vienna era la cadenza sospesa che restituiva la voce del mare.
I testi si offrono come istantanee (p. 28) in cui l’autrice prova a riaccendere «il respiro delle ombre» (p. 28), tra desiderio di amore, presenze e assenze. Un amore duplice: carnale, fatto di gesti e corpi – di baci, di occhi, di ventre – e insieme filiale, rivolto alla Madre (p. 35) e alla nonna. Anche questa forte tensione tra fisicità e tenerezza affettiva amplifica la già citata interferenza tra i sensi.
La parola poetica, libera da schemi metrici tradizionali, frammentata come un granulato di cristalli di sale si traduce in una scrittura che privilegia la densità sensoriale, restituendo al lettore, per assenza di una sintassi lineare e distesa, un’esperienza percettiva lampeggiante.
Nel titolo appare solida la memoria, ma in realtà lo sguardo dell’autrice, seppure rivolto al passato, nell’atto di raccoglierne frammenti, non vuole separarsi dal presente come atto di coraggio nella necessità di «sgretolare il dolore, / poi ancora raccogliere / […] l’aria / a sorsi nei resti» (p. 41), nel «cercarti ancora» (p. 35), nell’atto di illudersi «che un porto / almeno altrove / resista al silenzio // col suono, con la luce» (p. 62). Il dolore attraversa tutta la raccolta, forse è il pretesto del viaggio, ma è l’amore che lo doma, è la poesia che gli offre dimora, trasformando la ferita in canto.
Estratti dal libro
Prima del viaggio
uno scroscio d'aria il treno
e caviglie di pensilina e fiato,
spezzano i finestrini
a singhiozzo la mia figura
- vuote promesse-
io attendo di andare, non so dove.
*
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affioramenti da "La memoria del sale" di Erika Signorato
Erika Signorato (Verona, 1971) deve la propria formazione agli studi classici e musicali, ai luoghi amati nel profondo (Trieste, Vienna, le Dolomiti), alla famiglia che tanta parte riveste nel continuo dialogo esistenziale. Vive a Treviso e da anni si dedica all’insegnamento del pianoforte e di Musica nella scuola. Immersa nell’esigenza della scrittura poetica fin da giovanissima, solo di recente ha iniziato a condividerla. Sue poesie e raccolte hanno riportato segnalazioni e riconoscimenti in occasione di premi e concorsi letterari; singoli testi risultano presenti in riviste, blog, reading e antologie.
Per Delta 3 Edizioni è stata pubblicata la silloge In levare (2023). La memoria del sale (2025) è la sua seconda esperienza editoriale





