di Ivan Fedeli

“Itaca ebbra. Una lettura” su “Itaca ebbra” di Bia Cusumano (Interno libri, 2025)

Alla lettura di “Itaca ebbra” di Bia Cusumano (Interno libri, 2025) si percepisce, da subito, un senso di abbandono viscerale, atavico: emerge, pur con le dovute distanze, una sorta di soliloquio avvolgente, atomizzato nei vari movimenti poetici, simile al lamento di Didone, e diluito drammaticamente in un tempo totale, come lo è l’attesa di Penelope.

La stessa Itaca, dominante nel testo, assume valenze simboliche, metamorfiche, spostate verso una matrice corporea dell’abbandono e legate a una fisicità sensuale diffusa, tale da immergere il lettore in una dimensione onirica e mitizzata.

Si sprofonda, insomma, in un imbuto cieco: lì si resiste, in un non luogo emotivo dalla durata indefinita. La Cusumano costruisce questo percorso ad infera con la maestria di un cesellatore da bassorilievo, utilizzando spesso un linguaggio diretto ma dalle valenze opache, ossimoriche, quasi la scrittura si privasse, per un momento, di linfa vitale, prima di risorgere in estasi dionisiaca, quasi per trionfo.

In verità il piano di lettura si sposta, declina talvolta, verso un coinvolgimento interiore dalle forti valenze: Itaca-corpo ingloba in sé la sua matrice carnale, evolvendo da luogo di abbandono e di attesa a forza vitale, indomita, in grado di risolvere lo scacco della mancanza, e reificandolo come accettazione, confine tra Eros e Thanatos.

È, questa, la rivincita di una parola a strati, fisica e materica: essa compie la metamorfosi dell’assenza e del non essere, trasformandola in visione, chiarore. Ciò accade mediante una versificazione inizialmente levigata, in particolare nella prima sezione del libro, poi sempre più dilatata, nella seconda parte, in cui il senso di inappartenenza e di abbandono diventa nostos, viaggio inevitabile dentro e oltre noi stessi. Per amore.

Il ritorno, sia certo, non è quello dell’eroe patriarcale erede della tradizione greco-latina: non Ulisse, insomma, non Teseo, bensì una figura femminea, fortemente archetipica e legata alla dea-madre, a ciò che genera e sostiene, dà forza vitale: è la natura ebbra del corpo simbolico di un’Itaca in cui è il percorso esperienziale che conta, evolve e diventa rivincita, spessore.

La Cusumano appartiene, certo, al mondo della Plath: eppure lo rovescia, trasforma la perdizione e la mancanza in stato di forza, ebbrezza. Leggere le sequenze lineari e puntiformi del tessuto-libro, marcate da pause e ritmi talvolta frenetici, talvolta pacati ma vivi, induce il lettore all’avventura emotiva, alla sublimazione interiore; è essa che, titanicamente, fagocita, porta all’immedesimazione.

La poesia appartiene alle cose, sembra dire l’autrice: in alcuni passi, forse i più alti per valore, Bia le elenca come matrice poetica della sua scrittura, altrove le sublima negli stati d’animo, nella lunga serie di exempla, spesso identificati in nomi femminili, tali da spostare l’asse di lettura verso una lotta alla pari tra non essere e forza dionisiaca. Ed è questa a vincere: Eros trionfa, insomma, in un canzoniere apparentemente d’amore.

Nasce così un lavoro eccentrico, difficilmente contestualizzabile per riferimenti o precedenti: il pericolo del solipsismo viene vinto da scelte lessicali sempre misurate, da monologhi, piani emotivi di forte intensità, all’interno dei quali è il corpo stesso che si trasforma in atto letterario, fonde panicamente sé stesso e il narrato, vive il proprio essere-Itaca consapevole di sopravvivere, trascendere. Ciò è evidente in svariati movimenti poetici, in cui la raffinatezza ossimorica delle scelte lessicali abbaglia per purezza, sorprende, tende all’immediatezza tipica della grande poesia.

Così “la donna della cenere e delle mille vite” si trasforma in fenice, rinasce: la sua voce appare limpida, canta, quasi in un canzoniere d’amore. Ma è vita e ferita ciò che la Cusumano lascia e una poesia dalla dolcezza inquieta, dionisiaca, come ben nota la Segre. Essa accade per meraviglia. Genera stupore.


Estratti dal libro

La dimenticanza
è il potere dell’amore.
Se scordi l’altro
dissolve d’incanto.
Perciò lascia che ti ometta
in ogni molecola
di corpo e di sangue.
Sulla neve del pensiero
resti fuliggine d’oblio.
Che s’adagi dolente
come una cicatrice.

(p. 19)

*

Quando scrivo poesia?
Tra le pentole che stridono
e i fornelli che impazziscono.
O mentre brucia il pollo,
se la torta è troppo cotta,
se l’aspirapolvere è rotta.
Tra una piega storta
della camicia.
Basta chiudere il mondo
ascoltare un po’di jazz
sentirti fradicia di vita.
E poi cascare
nella pozzanghera non vista.
Buttar via i tacchi,
togliersi il rossetto.
Fare la cosa sbagliata,
imperfetta come una rima.
Ecco, la poesia è l’inatteso,
è l’escrescenza verde
sopra il formaggio fresco.
Oppure è l’agognato
carcere a vita.

(p. 26 )

*

Sferraglia amore
ingranaggio sfatto.
Delirio a sera.
Torni barca ubriaca.
Pozzi di silenzio.

(p. 28)

*

Quietati Itaca, ché gli Dei sacri ne maledissero la sete antica.
Sabbia si levò, vorace, e per anni bruciò il tuo livore.
Riposa, ora, il tuo furore, oblìa il tuo cuore ferito.
Tra i rovi non più l’ombra dell’incanto.
Dimentica lo splendore. L’assenza ha sradicato le parole.
Sillabe accartocciate, lingua blasfema d’amore.
Dimentichi Itaca chi ne ha amato le sponde.

(p. 61 )

*
Sei tornato, o sei sempre stato qui?
Nella terra dei poeti non ci sono più fiamme
né voci di sirene.
Mentre Itaca brucia, la cospargi di petali rossi.
Nuda, danzo sulle sue macerie.

(p. 67)

Bia Cusumano vive a Castelvetrano e insegna Letteratura italiana e latina al Polo Liceale della sua città. È stata ideatrice e direttore cultu rale del PalmosaFest, primo Festival di Arte e Letteratura della città di Castelvetrano. Ha scritto due sillogi poetiche: De sideribus e Come la voce al canto. Esordisce nella narrativa con un libro scritto a quattro mani con il filosofo Fabio Gabrielli, Sulla soglia del filo spinato. Storia di una bambina trasparente e di un bambino con un nome. Sempre con il filosofo Fabio Gabrielli ha pubblicato per Ex Libris Edizioni, Lo stupore del quotidiano, Quattro incontri con Wislawa Szymborska. Nel 2022 ha vinto il Premio Donna Siciliana e fa parte della Accademia di Sicilia per meriti letterari. Pubblica recensioni e articoli di letteratura su diverse testate giornalistiche e attualmente ha una rubrica letteraria, “Faro di Posizione”, su un quotidiano della sua città. Ha pubblicato nel 2023 Trame Tradite proseguendo sulla via della prosa senza mai smettere di comporre versi. Nel 2025, per Interno Libri, pubblica Itaca ebbra


Ivan Fedeli (1964) insegna lettere e si occupa di didattica della scrittura. Ha pubblicato diversi percorsi poetici, tra cui Dialoghi a distanza in “Sette poeti del Premio Montale” (Crocetti), Virus (ed.Dot.Com.Pres.), A margine (Ladolfi editore) e, per i tipi di puntoacapo editrice: Campo lungo (2014, Premio “Casentino”), Gli occhiali di Sartre (2016, Premio San Domenichino, Premio “Vent’anni di Atelier”), La meraviglia (2018, finalista Premio “Caput Gauri”), La buona educazione (2020), Cose di provincia (2022); nel 2025 La gioia elementare, Luigi Pellegrini Editore. Cura la collana “Altre scritture” per puntoacapo editrice.

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