
LE MUCCHE SE NON LE MUNGI ESPLODONO (DI GIOIA) (crudeltà sugli animali, un inventario) è la raccolta poetica di Teodora Mastrototaro (Marco Saya Edizioni, 2025), con prefazione di Bianca Nogara Notarianni e illustrazioni di Alessandra Antonini. Un’opera che non è soltanto un libro di poesia, ma un vero e proprio archivio del dolore animale. La raccolta, inserita nella collana Poesia Oggi, si muove lungo il confine sottile tra cronaca e lirica, trasformando fatti di violenza quotidiana contro gli animali in brevi istantanee poetiche, capaci di illuminare la realtà con crudezza e compassione insieme. Da veterinario e scrittore, è stato inevitabile accostarmi a questo testo con una duplice sensibilità: quella clinica, che riconosce nei versi di Mastrototaro una documentazione precisa delle sofferenze animali, e quella poetica, che individua nel linguaggio la possibilità di resistenza e di memoria del dolore.
La prefazione di Bianca Nogara Notarianni (Esplodiamo anche il linguaggio, allora) offre una chiave interpretativa fondamentale: la poesia, come il verso animale, è necessità vitale, non lusso estetico. È atto di sabotaggio del linguaggio specista, fuga e insieme alleanza. In queste pagine risuonano echi di Jacques Derrida, Gilles Deleuze, Donna Haraway, Maurice Blanchot: pensatori che hanno interrogato il rapporto tra umano e non-umano, tra linguaggio e vita. Mastrototaro si colloca in questa tradizione critica, facendo della poesia un dispositivo etico e politico che non si limita a denunciare, ma restituisce identità alle vittime, liberandole dalla cancellazione della cronaca nera. Trovo importante introdurre il concetto di “specismo” ovvero la convinzione che la specie umana sia superiore alle altre specie animali, un’idea pregiudiziale che porta a un diverso trattamento e a uno sfruttamento degli animali. Ecco quindi che un antispecista è persona o pensiero che si oppone allo specismo, ossia alla discriminazione basata sull’appartenenza di specie, sostenendo che tutti gli animali, umani e non umani, dovrebbero avere lo stesso valore e gli stessi diritti. Ci troviamo di fronte ad un’ideologia di eguaglianza radicale che spesso si traduce in pratiche come il veganismo, il boicottaggio dello sfruttamento animale e un impegno più ampio verso la giustizia per tutti gli esseri vulnerabili.
I testi poetici appaiono come frammenti, epitaffi minimi, fotografie linguistiche. Il tono alterna registri diversi: dal sarcasmo feroce alla compassione, dalla cronaca spietata al grido lirico. Ogni testo prende spunto da un fatto reale, situato e datato dall’autrice, eppure supera la contingenza, diventando allegoria di una violenza più ampia e sistemica. La poetessa dà voce al dolore animale attraverso una lingua ridotta all’osso, che si fa urlo, denuncia, commiato. La brevità diventa quindi necessaria: il lutto animale non tollera retorica o considerazioni prolisse. La poesie è rapida e tagliente come le lame, spesso usate per dare la morte o come uno sparo. Qui emerge con forza un punto che, da veterinario ed ex-ricercatore, non posso ignorare. Molti testi riguardano pratiche che ho vissuto personalmente: gli stabulari universitari, gli esperimenti più o meno invasivi, la prigionia negli zoo, gli allevamenti intensivi. I macachi di Parma, ad esempio, sottoposti a operazioni neurologiche, con impianti cranici e sedie di contenzione: ovvero tutto ciò che nel linguaggio scientifico appare come “protocolli di ricerca” qui viene restituito nella sua crudezza, come violenza irreparabile sui corpi. Gli animali hanno un nome, anch’esso per “mano” dell’uomo (orsa Amarena e il figlio Juan Carrito): la poesia li rende monumenti di memoria collettiva.
Il libro di poesie è anche un libro politico che costruisce consapevolezza: una costellazione di inaspettate spietatezze poetiche che con grande maestria l’autrice utilizza per spiazzarci. Non più compassione ma dura realtà, anche sarcastico. I suoi testi ci obbligano a guardare in faccia gli orrori della cronaca portando la poesia a diventare atto etico, capace di restituisce nomi alle vittime, volti, corpi. Avviene una sorta di trasformazione in cui l’animale da oggetto di consumo o disumano divertimento, è soggetto di storia. Posso anche dire un’opera “che disturba” la nostra quiete, obbligandoci a considerare un pensiero diverso, sia questo più o meno più giusto e/o compassionevole.
Nota di lettura a cura di Antonio Corona.
Estratti da LE MUCCHE SE NON LE MUNGI ESPLODONO (DI GIOIA)
7 luglio 2024 Fabriano – durante uno stage nella fattoria della scuola, sei ragazzi hanno torturato un agnello di poche settimane spezzandogli la spina dorsale, paralizzandolo. L’agnello è morto dopo molti giorni di agonia.
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Allontanare la colonna vertebrale
per disossare la carne di agnello
è un’operazione complessa
se fatta pre-mortem.
Potevano chiedere al macellaio
di staccarla con la sega.
Il terrore paralizza.
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17 luglio 2024 Roma – Caracas, gatto randagio, è stato legato ai binari e poi schiacciato dal treno nella stazione di Roma Tuscolana.
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Vietato attraversare i binari
lasciatelo morire
in pace.
Chissà se avrà aspettato in sala d’attesa
prima di partire
per l’aldilà.
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24 giugno 2016 Sangineto – quattro ragazzi hanno torturato Angelo, cane randagio, impiccandolo ad un albero e finendolo a badilate, riprendendo il tutto con i loro smartphone.
*
La corda inciampa nel laccio
il peso del mondo si spezza
essicca la pelle del suolo
singhiozza una foglia di pietra.
Cedersi a proteggere il fiato
con gli ultimi colpi a crollare.
Impiccata la morte al tuo nome
impara a ululare.
—–
2 febbraio 2025 Caserta – è stato scoperto un vero e proprio cimitero di cuccioli di bufala di età compresa tra i trenta e i cento giorni.
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Come in un grande
asilo nido
per farli addormentare
giochiamo al gioco del
silenzio.
Chi muggisce piange vive
perde.
*
Per le femmine
sarebbe stata meglio
la cremazione con l’acqua1
per far defluire l’ultima goccia
di latte. Non sprecare nulla.
Dalla prefazione di Bianca Nogara Notarianni – “Esplodiamo anche il linguaggio, allora“
[…] Le mucche se non le mungi esplodono (di gioia) si configura come diario di un tempo, come mappa di uno spazio, scanditi da brutalità che appaiono indicibili, eppure che si devono dire – nominare è, del resto, il gesto dovuto, pur davanti a creature compagne che spesso non hanno nome, e al quale però un nome va dato, restituito, nome che liberi finalmente anche da quell’ennesima gabbia che è il fatto di cronaca che appiattisce la singolare storia. Ogni volta unica, ci diceva Jacques Derrida, è la fine del mondo. Ogni volta uniche sono queste morti di cui Mastrototaro si mette all’ascolto, di cui Mastrototaro fa commiato. La poesia diventa così la voce – ripetizione del verso – nel quale questi smisurati lutti possano trovare non forse riposo, ma inesausta risonanza. Del resto era lo stesso Derrida che davanti alla domanda Che cos’è la poesia? indicava la forza di un segreto che riuscisse a unire il parlante a un essere «perso nell’anonimato, tra città e campagna», un «animale gettato in strada» – istrice. Cosa c’entra con la poesia?, rispondeva ancora, beh, c’entra perché il poetico è parola che si mette in viaggio, che non torna mai al discorso, appunto. E che quindi non può essere dimenticata: la poesia è detta appunto per non scordare. La poesia è proprio ciò che si può imparare dall’altro e dall’altra, apprendendo questo – che è un segreto, che è l’intimità nella simpatia: dolore, gioia, terrori condivisi, portati insieme – come sotto dettatura, e così a memoria.
[…] Questo fa, questo può, la poesia: esporre il trauma, senza che ciò significhi soccombere al cinismo, alla disperazione. E cioè creando nuove linee di fuga, nelle quali il lutto non sia depressivo raccoglimento, stagnante stanchezza, ma portale creativo e immaginativo. E questo fa la poesia di Mastrototaro (lo fa anche quando è prosa). Il lutto, ci spiega tanta teoria politica, è anche vettore di comunità – siamo anche coloro che piangiamo. La parola poetica è la parola che rompe questa corrispondenza, ne instaura un’altra (che è meno letteraria e più materica cospirazione) che unisce il nostro corpo, la nostra simpatia, a tutte le cose che si possono toccare. A tutte le cose che ci possono toccare. Di queste non si può tenere il conto, forse; non se ne può fare sistema, e quindi, di ritorno, una definizione d’appartenenza, una comunità finita. […]
Teodora Mastrototaro drammaturga e poetessa, attivista per i diritti animali, è nata a Trani nel 1979, vive a Roma. Ha esordito con la raccolta Afona del tuo nome (La Vallisa, 2009). Ha pubblicato Legati i maiali (Marco Saya, 2020), finalista al premio Arcipelago Itaca, vincitore del Premio Speciale Del Presidente Di Giuria al concorso Bologna In Lettere 2021, segnalato al premio di poesia e prosa Lorenzo Montano 2021. Il suo libro Zoologia abitativa ha ricevuto la Segnalazione al premio di poesia e prosa Lorenzo Montano 2022 per la sezione libro inedito. Le sue poesie Carne e Gabbia sono state pubblicate nella rivista di critica antispecista Liberazioni n.50. È stata direttore artistico per sette anni del festival Notte di poesia al dolmen (Bisceglie). Nell’anno accademico 2013–2014 ha tenuto il Pon “Tra rime e ritmi – giocare con la poesia” presso la scuola elementare Massimo D’Azeglio a Barletta (Bari). Tra i suoi spettacoli: A pelle è figlio di Apollo. Ciò che conta è la carne (festival Filecenza-Libri sotto gli alberi), Le pareti di Antigone (Festival Internazionale di Andria Castel Dei Mondi), Delirio registico (Roma Fringe festival), La seconda stanza (Festival delle donne e dei saperi di genere), Alda – nell’intimità dei misteri del mondo (Festiva di letteratura I Dialoghi Di Trani), A Senza nome (col patrocinio di Amnesty International Italia e dell’Associazione nazionale Antigone, Arci Puglia, Artisti 7607), Felicia – Frammenti di Felicia Impastato, Inumanimal (vincitore al Festival delle Arti Luccica come miglior Atto Performativo), Rape Rack – Asse da stupro – concerto scenico.
- Chiamata “tecnica” dell’acquamazione, quando il corpo non viene bruciato ma posto in un contenitore pressurizzato, riempito con una soluzione di acqua e idrossido di potassio. ↩︎





