
LA GIOIA ELEMENTARE è la recente silloge di Ivan Fedeli edita da Luigi Pellegrini Editore (2025), con nota introduttiva a cura di Cristina Daglio. La raccolta si articola in otto sezioni: L’arte del trasloco – Il silenzio del Lambro – Gli inadatti – Felicità abusive – Acque docili – Novecento – Senza – (Auspicia). Un autore, già noto e apprezzato nell’ambito della poesia contemporanea, affronta qui con maturità poetica l’essenza del quotidiano, nella periferia e nella trasfigurazione del reale. Un vero e proprio attraversamento del quotidiano: oggetti, volti, paesaggi e ricordi diventano vivida poesia che non cede all’enfasi ma ricerca, nelle pieghe dell’ordinario, i lampi di una bellezza fragile e precaria, ancora in grado di restituire “senso”. Una scrittura che alterna toni narrativi ad aperture liriche senza mai perdere di vista la realtà, restituendoci una poesia che diviene specchio delle vite comuni. Un libro capace di scavare nel routinario per rivelarne le fragilità, dando voce alle piccole cose, alle esperienze apparentemente minori. E’ proprio questa – forse – la gioia elementare, il vero senso dell’esistenza di cui ci vuole parlare Ivan Fedeli, rendendoci lettori consapevoli.
La raccolta si apre con “L’arte del trasloco“, dove oggetti, scatole, piccoli feticci domestici si trasformano in custodi della memoria, “i nostri piccoli angeli custodi”. La poesia cattura l’istante, non c’è enfasi elegiaca: piuttosto un registro narrativo, fatto di dettagli concreti (un magnete sul frigo, un giradischi, foto), che diventa occasione di meditazione sul tempo e sull’identità. “Il magnete di Cracovia sul frigo / le chiavi al centro del cassetto un libro/ di Baricco sul divano a occupare / posto.” […]
Ne “Il silenzio del Lambro” (tributario del Po, lungo 130 km), il paesaggio urbano e fluviale assume un valore simbolico. Il Lambro e i suoi argini diventano luogo di resistenza e di sopravvivenza. Tra benzina, cavalcavia, graffiti e orti improvvisati, si manifesta una bellezza minore, nascosta. Fedeli guarda i margini, i confini, i segni precari di una natura che resiste nel cuore della città. È una poesia che interroga i luoghi dimenticati e, attraverso essi, la possibilità stessa di felicità. […] E’ il silenzio del Lambro il suo decorso / di gabbiani tristi che sbattono ali / sbeccando lattine e cartacce prima / di posarsi in fila mimare fughe / l’uno via l’altro come sul mare” […]
“Gli inadatti” è la sezione che raccoglie figure marginali, personaggi minori, voci senza nome: il “Bresaola”, il signore dei libri, la ragazza con gli occhiali. Non sono eroi, ma vite comuni che rivelano l’essenza di un’esistenza precaria e ostinata. L’ironia, spesso velata di malinconia, accompagna i ritratti, che diventano emblema di una collettività sommersa, invisibile, eppure reale. “Cose care queste alla vita / e tremende raccontano i poeti / di qui e Milano scivola via dopo / il Lambro e le panchine zoppe al parco, / quella loro poesia di baci / corsari e pioppi uno via l’altro / sospesi fino a perdersi felici”.
In “Felicità abusive“, la gioia appare come evento improvviso, non programmabile: “abusiva” perché inattesa, fuori luogo, mai definitiva. È un sentimento fragile, che si lega alle piccole cose – la pioggia di novembre, un bar, un gesto quotidiano – e per questo tanto più autentico. La poesia non la celebra in modo solenne, ma la riconosce e la accoglie, pur sapendo che durerà un attimo.
Acque docili – Sezione di apertura lirica, segnata da richiami musicali e pittorici (Vecchioni, Monet, Montale). L’acqua diventa elemento simbolico di scorrimento e di memoria, luogo di sospensione e di intimità. È qui che l’amore e il ricordo trovano voce in forme delicate, quasi impressionistiche, con immagini di mare, pioggia, silenzi che richiamano un tempo più lento e contemplativo. Nomi importanti ritornano anche in Novecento dove la memoria collettiva e storica prende corpo: Pasolini, Raboni, Calvino, Sartre, Mina, Montale diventano figure e riferimenti di un secolo che ha plasmato la coscienza. Fedeli non fa celebrazione, ma interroga ciò che resta del Novecento nella vita di oggi, nelle eredità culturali e nella solitudine contemporanea. È un canto disilluso ma partecipe, che cerca ancora radici e significati. Ci si interroga o si è speranzosi: ” Eppure resterà qualcosa credo / di noi almeno un Pasolini due tre / versi di Raboni a guardia di un secolo / forse la voce di Mina qualche appunto / su Heidegger ormai perso i vent’anni / irresistibili mai domi”. […]
Ci apprestiamo al termine della silloge con Senza, dove il titolo stesso dichiara la mancanza: dell’altro, del tempo, delle parole. Le opere di Fedeli esplorano lo spazio del vuoto, della sottrazione, mostrando come il quotidiano si carichi di assenze. Bar, tram, gesti minimi diventano segni di una vita che procede comunque, ma sotto il segno della precarietà. Per giungere all’ultima sezione di fatto tra le parentesi (Auspicia) che guarda al futuro: auspici, desideri, auguri. Non si tratta di una speranza ingenua, ma di un affidarsi al domani nonostante tutto, cercando ancora segni nei volatili, nel cielo, nei piccoli gesti quotidiani. È una chiusura lieve, che lascia al lettore un senso di possibilità, come un orizzonte che resiste.
Una “gioia elementare” che conquista chi ha ancora voglia credere nelle cose semplici ed eterne dell’essere umano.
Nota di lettura a cura di Antonio Corona.
Estratti da LA GIOIA ELEMENTARE
da L’arte del trasloco
Tutto con calma un gradino alla volta
si scende si sale i passi a memoria
saremo gli stessi di oggi domani
ti chiede si chiede e non sa. C’è un tempo
che non ha presente scivola via
nella storia di ciabatte orecchini
vini cristalli letti da lasciare
mentre la signora al quarto piano
innaffia i fiori smiccia lo spioncino
con occhio inconsapevole di noi
di lei sbuffando della posta chi
la ruba dello sciopero dei mezzi
che così non si può. Tu la immagini
nel corpo nei capelli bianchi arruffati
al risveglio e resta buffa al ricordo
al parlare dei figli confuso.
Torneranno lei pensa quasi tornare
partire avessero uguale radice
forse un moto comune alle cose
che nulla sposta nulla contiene.
Sotto i citofoni sbiaditi i nomi
da associare al caso i Caponi i Verri
i Brambilla ogni vita alla vita
disordinatamente lì in attesa
che qualcuno suoni qualcuno dia voce.
da Il silenzio del Lambro
Ristagnano le nuvole e gli sguardi
lungo i viali rigidi uno sull’altro
e si accavallano all’asfalto come
i giorni qui. Tu cerchi una rivincita
sul grigio dove azzardano graffiti
e scritte macchie di colore nuovo
ma sbecca l’occhio dopo i ponti in fuga
e manca a tratti un orizzonte. È un mondo
di confine e resta in sé cercando il cielo
tra la luce zoppa di un bar e l’aria
di un marzo che s’attarda. Poi il silenzio
delle siepi all’angolo e qualche fiore
ribelle a bucare lamiere e sassi.
Va così la felicità del Lambro,
tutto un levigare nascosto d’acqua
e di polvere quasi carezzando.
Passano vite intanto qua e là uno stop
e i cartelli sbiaditi per il centro.
C’è chi a volte esita, meravigliando.
da Gli inadatti
Tu lo conosci dalle scarpe grosse
il Bresaola mentre canta Il cielo
in una stanza dopo un rosso di troppo.
Ha baffi alla Gino Paoli e il passo
zoppo da città quando sa d’estate
il cielo di Lambrate anche per lui
e chiudono i bar lasciando il silenzio
delle sedie in plastica a fare
la guardia alla notte. Sorride allora
in una piorrea nostalgica e
scivola via come una nuvola.
Lo chiamano qui fischiando a due dita
così con i cani con chi non ha nome
e pensa alla vita a starci per bene
aggiustando i capelli un po’ radi
e i ricordi lasciati tra forfora e
ombrelli. Visita i sogni ogni tanto
o ti bussa alla porta scappando
e sai che c’è stato una volta almeno
a suo modo accade così alle rondini
in balcone a qualche verso scordato
di una poesia al liceo. Cose
belle e feroci mi dici ammiccando
che danno esistenza, girano intorno.
da Felicità abusive
Una poesia d’amore ci pensi?
Sì, una di quelle da scuola imparate
di fretta dimenticate poi col tempo.
Ma scriverla? Trovare le parole
adatte arrendersi a una felicità
di seconda mano non tua non mia
prima di sparire dentro un nome
chiamarti forse come si fa di notte
dopo un sogno o per la prima volta
davvero quasi fossi qui a dettare
tu un verso alla volta un giorno alla volta.
Questo insomma, e già arrossire finire
in qualche luogo comune sentirsi
bene almeno allo specchio mentre
guardi e non sai del mattino di te
di cosa rimane dell’erba a novembre
tagliata da altri proprio oggi in cortile.
Estratto da la nota introduttiva di Cristina Daglio
[…] In ogni singola poesia Fedeli crea un quadro perfetto, equilibrato e formalmente ineccepibile, nel quale l’osservatore e il soggetto dell’azione quasi a voler essere un unico caleidoscopio della situazione. In questo l’autore resta fedele alla propria visione e al poetare che lega le sue ultime raccolte: il reale e l’essere divengono anche pensiero e strappo con l’umano in un tempo e in uno spazio che, paradossalmente, sono sempre più piccoli (iperspecificità) e più grandi (ipercomplessità). È questo uno scarto tra ciò che comunemente viene riconosciuto come vita vissuta, chiusa nel canone della normalità, e ciò che si percepisce, mantenuta talvolta anzi codificata, carica ogni frammento di unicità che lo definisce.
[…] La poetica di Fedeli indaga, in tal modo, a vicende banali di tutti i giorni (da un trasloco, a uno sguardo sull’ambro, alla minima situazione quotidiana), e tende con ossinazione alla ricerca di una luce opaca o ai dettagli capaci di svelare un battito di bellezza che ci permette di definirci umani. Il suo hinterland (già offerto e spesso presentato in precedenza) nel solco, forse, dell’Erba migliore linea lombarda che richiama Raboni ed Erba, qui, però, sono tracciabili riferimenti al sogno o meglio alla trasfigurazione del quotidiano.
La struttura della monostrofa, infine, propria della narrazione di Fedeli, ci ha abituati negli anni a leggere la sua poesia come racconto orale, una sorta di poema epico della sopravvivenza, che resistenza ci mostra in un tono di apparente minore verso dolce, che cela nella profondità delle pieghe una minaccia, pur dolce, di scardinamento dalle abitudini. Si potrebbe quasi ipotizzare, in ultima analisi, che Fedeli sia poeta orizzontale, proprio perché, con il suo sguardo, scandaglia la realtà ad “altezza di occhi”, ma forse sarebbe riduttivo.
Ivan Fedeli (1964) insegna lettere e si occupa di didattica della scrittura. Ha pubblicato diversi percorsi poetici, tra cui Dialoghi a distanza in “Sette poeti del Premio Montale” (Crocetti), Virus (ed.Dot.Com.Pres.), A margine (Ladolfi editore) e, per i tipi di puntoacapo editrice: Campo lungo (2014, Premio “Casentino”), Gli occhiali di Sartre (2016, Premio San Domenichino, Premio “Vent’anni di Atelier”), La meraviglia (2018, finalista Premio “Caput Gauri”), La buona educazione (2020), Cose di provincia (2022); nel 2025 La gioia elementare, Luigi Pellegrini Editore. Cura la collana “Altre scritture” per puntoacapo editrice.
Per maggiori approfondimenti leggi Ivan Fedeli In Poesia





