“A4 – una pagina”
su Creatura di Martina Luce Piermarini
(peQuod, 2024)
di Alfredo Rienzi
Creatura è la seconda opera poetica di Martina Luce Piermarini, pubblicata con peQuod nel 2024, a distanza di un decennio dalla raccolta d’esordio Interferenze alla luce (Italic peQuod). L’autrice, nata e residente a Macerata, ha alle spalle esperienze di drammaturgia e di laboratori creativi e teatrali, tra le quali non è di poco rilievo, anche ai fini della lettura della sua poetica, la creazione nel 2013 del primo laboratorio di teatro spirituale, anch’esso con sede a Macerata.
L’opera è un armonico e vibrante polittico, di una dozzina di testi-sezioni-scene, cha vanno dal singolo testo (in apertura, Creatura, eponimo alla raccolta e i Dormiveglia) alle ampie rappresentazioni Il sonno della visione (primo e secondo movimento) e del centrale Canto di una bambina che prega. Autoritratto.
Al di là della varietà di occasioni, delle quali Piermarini ci dà dettaglio nelle Note (p. 143), un’unica pulsione, un solo acceso desiderio e una parola unificatrice animano e sostengono Creatura. Proprio nel testo incipitale ed eponimo, (almeno) due lampi verbali – oltre al titolo, venuto tardivamente (v. p. 143), colpiscono e segnano un possibile percorso di lettura e com-prensione: «entra» e «luce», lemma quasi ubiquitario, anche lascito del primo libro di Martina, che «permea le cose fino all’esistenza stessa» (Allì Caracciolo, p. 12). Lemmi sùbito richiamati dal titolo provvisorio del primo testo [Creatura (Soglia dell’opera)] e da alcuni versi del testo iniziale de Il sonno della visione (titolo che anch’esso, con più spazio – evocando Il sonno della ragione di Goya – meriterebbe un commento più ampio): «sentivo battere alla porta», «Al confine ultimo del buio», «Qualcuno viene a visitarmi […] oltrepassa – luce nelle acque ferme» (p. 25).
La «soglia», a parte l’accezione di cui all’osservazione successiva, è dramma e conquista al tempo stesso e trova modulazioni di senso nella famiglia lessicale degli affini o antonimi «botola» (in plurime occorrenze), «barriera», «sipario», «l’ingresso» (tra i due mondi, della morte, della vita, della tenda), «muro», «cancello scardinato» ecc.
È una poesia visionaria e onirica, quella di Creatura, si potrebbe dire e certamente lo è, ma senza accontentarsi di un didascalismo eccessivo, ché troppo labili sono i confini – esplorati e varcati nella parola esperienziale di Piermarini – tra sogno (anche con l’inverso «Ongos», titolo di una sezione) e visione, dormiveglia e «pensiero di nebbia», «visione a tunnel» e incubo ctonio («questo cercare tra i morti»), «comprensione del mondo», imparare «a vedere» e l’occhio «diventato / qualcosa di più perfetto».
Ne sortisce un racconto – pur nella frammentazione e negli scarti di piani spaziali e temporali – che va percorso in sintonia, nonostante le preziose annotazioni dell’autrice, richiede un «inoltrarsi nella Vertigine» (Allì Caracciolo nello scritto introduttivo, p. 7), un accogliere i contorni mutevoli e i bagliori di fiamma («lingua incandescente» la definisce Ezio Settembri nella sua Nota critica, p. 149), un disperdersi nelle forme acquoree e aeree di una parola-voce. Parola che non raramente allude a se stessa e a un Silenzio – più silere che tacere – gravido che, con Caracciolo, è «tutte le cose create, prima che si arrivi a scoprire la loro voce». Un silenzio che è parte essenziale della ricerca del sacro e del divino, almeno quanto la parola poetica nel suo farsi libera preghiera.
Grandi assenti, da queste mie poche righe, salvo il mero citarli, ma ben presenti e di sicuro significato nella trama di Creatura, sono l’aura junghiana e la mobilità cronologica dei piani narrativi, dove l’autrice è al tempo stesso – in ricordo, rievocazione e logos ri-creatore – bambina e senzatempo, creatura e creatrice.
Testi da Creatura
Creatura
parla. no. entra.
È un’altra notte questa prima degli occhi
il giorno che qualcosa incatenò il cielo
il giorno che qualcosa iniziò dalla fine
come un adagio perfetto di ritorno dalle
stanze della luce dalle fessure i questa musica
gli occhi bucano, ci piove dentro.
Dio, destino, casualità
il giorno in cui vidi meglio avevo la bocca
di un giocoliere e le mani grandi
c’era una meridiana e la bambina
chiamava forte la sua città, il nome
azzurro azzurro azzurro
(p. 19)
***
un vangelo di sagome e avanza:
il sole è una palpebra – s i a p r e – Io sto dietro l’acqua
– giungeranno fin qui le visite: prima del cavallo?
Tutte le api per il mio insensato significare…
(qualcuno saluta, mi invitano al loro rito di cancellazione,
al funebre gioco. I loro demoni sono zucche estinguono
il sole dal palco dell’aria)
– Il musicante di lasciò musica ti lasciò lo spazio infinito dei
musici ma tu non c’eri. Avevi mutato la corrente. Col capo
immerso numerali i peccati la bilocazione del buio
i fumi grigi delle creature incendiate
essere più nulla
questo
alla fine del vento
(p. 39)
***
Dimentica chi cammina sulla terra
il nome di padre appartenuto a Dio
– sei sulla scena di un sogno
che si riavvolge per tutta la scena
(p. 51)
***
La notte in cui mi creasti
vidi il mare
l’inudibile dell’antro
funi rosse salivano indefinite
appena visibili agganciavano
la folla delle ombre
Tre esseri perdendo quota
scioglievano lenti al suolo
Nella notte in cui mi creassi
si rapprese ogni sangue
il fuoco – raggelante di nudità –
l’enormità della bellezza
(p. 62)
[requiem del coro]
I musicanti
hanno preso posto
sugli spalti sono venuti per lei
per assistere alla sua morte. Sono venuti
dal deserto hanno seguito una voce – dal deserto
hanno obbedito alla voce – oltrepassato il leone di
pietra oltrepassato il grande Almanacco hanno salito i
gradini sotto gli ulivi attraverso la scala di dadi bianchi.
Hanno preso posto là – dove tutto è ignoto e imprigionato –
(p. 113)
Martina Luce Piermarini è nata a Macerata dove ora vive e lavora. Ha fatto studi classici e filosofici, frequentato il Master in Tecniche della Narrazione a Torino dove ha lavorato con artisti come Alessandro Baricco, Gabriele Vacis, Sonia Antinori, ottenendo la menzione d’onore per prova d’autore finale. Si specializza in drammaturgia tenendo laboratori di scrittura creativa e teatrale in diverse scuole medie inferiori e superiori della provincia. Ha tenuto laboratori teatrali, fondando nel 2013 il primo laboratorio di teatro spirituale con sede a Macerata, scritto opere teatrali come Interno Camera (Premio Calvin Klein, Piccolo Teatro di Milano) e Luci nel Pozzo (rappresentato dagli attori della “Paolo Grassi” e dal regista Stefano Alleva e immesso nel circuito “Terra dei Teatri” 2003/4). Nel 2014 scrive la silloge Interferenze alla luce (pubblicata con Italic peQuod). Ha collaborato assiduamente con la rivista d’arte e fatti culturali «UT» (redatta dalla poetessa Enrica Loggi di San Benedetto del Tronto), nel 2016 ha ricevuto il premio di poesia Caffè delle Arti a Roma ed è presente in diverse antologie di poesia contemporanea. Dal 2017 ad oggi collabora con l’emittente maceratese Radio Nuova Macerata ideando due rubriche: “La zattera di Alice” (incontri con poeti e autori di fama nazionale) e, successivamente, “La Ghianda” (rubrica quotidiana di poesia e spiritualità). Creatura è il suo secondo lavoro poetico.





