“A4 – una pagina”
su Ballate di Lagosta di Christian Sinicco
(Donzelli Editore, 2022)
di Alfredo Rienzi
Lagosta è il nome italiano – da pronunciare Làgosta – di Lastovo, isola dell’arcipelago meridionale dalmata, all’altezza delle Tremiti. Offre gli ambienti e il titolo al volume di poesie di Christian Sinicco, Ballate di Lagosta, edito da Donzelli nel 2022. La sezione eponima è la terza del volume, la più ampia e articolata, ma tutta la raccolta è ambientata a Lagosta e le diverse sezioni, con i loro toponimi lastoviani e i personaggi, compartecipano – panneggi di un polittico – in un unico flusso narrativo, ancorato all’animato reale del luogo, della sua vita – attuale e, per echi inestinguibili, di «un tempo».
Prima di entrare nella sostanza del dire di quest’opera di Sinicco, è doveroso e necessario, sia pure en passant e costeggiando in questa mia affermazione la banalità, testimoniare la capacità del poeta triestino di governo del verso (tra sonetti e testi musicali – cfr. Prima della processione, intessuta su prevalenti settenari doppi; Rap di Martino con i suoi rimandi ritmici e rimici ecc.) e, ancor più, degli equilibri tra trasparenza sintattica e narrativa e le improvvise aperture di senso e affondi riflessivi.
Ai fini dell’ascolto del testo trovo che non rilevi – almeno non molto – se l’io poetico delle Ballate sia coincidente con quello dell’autore e per quale motivo e circostanza esso si trovi a osservare, ascoltare e riflettere in quelle zone, pur odorose di spiagge e di elementi che rimandano a un transito turistico, al tempo stesso discostandosene nel modo di stare; non rileva perché è la densità dell’esito tra il narrato e il narratore, che consente di declassare la rilevanza delle circostanze. Scrive, infatti, N. Vavassori (“Arateacultura”, 30 settembre 2023) con precisione estrema, che i costumi e gli altri elementi locali «non sono descritti con il gusto esotico dello straniero, ma con la vicinanza di un complice», così che «il suo punto di vista è sia interno sia esterno».
I luoghi, i naturalia e gli oggetti addolciscono lo sguardo con i loro dettagliati cromatismi, dove prevalgono, come atteso, i bianchi e la serie di azzurri e blu e, più inaspettati, i «viola» («nuvole», «fiore», «pantaloni», il viola della casa delle rondini). Ma la minuziosa fotografia – il versante visivo – è sicuramente meno dominante di quello sonoro e musicale, la cui centralità ha più significati, a partire da quello letterale, ravvisabile fin dai titoli di molte poesie (Canzone di Spalato, La canzone di Daniela, Canzoni di Martino per Caterina, Cantate di Ante, Canzone per Eva ecc.). La scelta per il titolo, di Ballate, ipotizzo che voglia richiamare una componente più tradizionale e popolare, in qualche modo materica, rispetto allo spettro potenzialmente più rarefatto del canto, pur nella sua versione meno eterea della canzone. I riferimenti al musicale, soppesate le modalità compositive di Sinicco, assumono anche, in qualche modo, valenza di dichiarazione di poetica. Un ultimo, decisivo, aspetto si raddensa nel titolo dell’ultima sezione Ma voi non fermate il loro canto. Chi sono loro, viene detto – o meglio ribadito, senza equivoci – subito dopo: «spariti nelle onde / così tanti corpi» (p. 85), i corpi inabissati «nel mare nostro» (p. 88), «i nomi morti nel Mediterraneo» (p. 87). Veniva anticipato, a più riprese, anche nel corpo della raccolta, come a p. 24: «la marea che entra nel Mediterraneo si insanguina» e nella dolente e insostenibile contabilità di Nei minuti di una pubblicità (p. 52) «ho i miei figli sepolti nel mare […] / diciannovemila uomini in sei anni».
L’orrore inarrestato di questa tragedia intesse un dialogo cupo – portato alla massima efficacia proprio perché senza retorica, senza invadenza, quasi silenziosamente o silenziatamente dalle cornici cromatiche e dalla colonna sonora delle canzoni – con gli echi della guerra nell’ex Jugoslavia: «le rondini sono tornate/ su verso il cielo dove la violenza si è spenta» (p. 36); «prima della guerra» (p. 81); «il cimitero è così affollato che non si trova un angolo per amare» (p. 24).
La devastante sinergia degli orrori innesca nel poeta le domande e le considerazioni più dure. Non sceglie, Sinicco, il piano filosofico o metafisico del Bene o del Male, né l’asetticità della «solo cronaca». È così che, tra versi lirico-meditativi di grande delicatezza (es. Un incanto nell’aria, p. 50; la piccola spiaggia, p. 86 ecc.), si conficcano le gelide lame della condanna politica tout court al modello sociale dominante, egoistico e capitalistico, alle sue «capitali del niente» e contro «le spine del capitale» e la «Repubblica di ruberie»: «chi ha trovato i soldi per acquistare le armi / ha combattuto la guerra dagli edifici grigi / e ora è un dirigente di banca» (p. 37); «ci si chiede come rimpicciolire / i centri di qualsiasi potere» (p. 38), come liberarsi dalla «scienza di morte dai soldi dell’oblio» (p. 88). Centellinati e sgranati, anche per questo loro uso – non ornamentale ma necessitante -, i versi civili risuonano più alti e incisivi. Come l’ultimo verso della raccolta, che è sia allarme che scongiuro e speranza: «l’erosione» – che non avvenga – «della nostra memoria», con tutto il corteo di atrocità ed errori, ma anche di canzoni e umanissime ballate.
Tre poesie da Ballate di Lagosta
da “Cantate di Ante”
II. Un incanto nell’aria
per chi si è lanciato sulla folla,
per chi non ha trovato riparo nella gioia,
per chi ha chiuso porte
punto dalla noia,
per chi resta in silenzio
perché non è scattata la sua molla,
per chi ha occhi neri
spalancati di notte,
per chi è come la penna di un gabbiano
sbattuta dall’acqua
o la lisca di pesce
divorata,
per chi è l’erba dell’altopiano
e quando sarà il momento
brucerà, per chi è prima vento
e poi pioggia autunnale
e vede lontano l’uva,
per chi appoggia la mano
e sistema il tovagliolo,
ma ha come ricordo
i racconti della gloria,
la scomparsa delle piccole cose,
per chi non vedrà più il crepuscolo
e non può gridare che il buio
è dissetante come un sogno,
per chi è senza futuro,
per chi nato,
ma non ha nulla
ed è perduto e sembra nell’aria
portata dal mare,
portato da chissà dove
un incanto ce è morte
canto della memoria
(p. 50)
Teoria di Leonardo
con un bastoncino sulla sabbia
siamo la carne di dio, un assetato di noia,
siamo il modello di questo antieroe, è chiaro,
siamo il centro, un punto che non ha forma e moto
siamo su questi sassi, scagliati e inghiottiti
siamo come rilevano gli sguardi dell’odio e dell’amore,
forse siamo l’unico motore dell’orgoglio;
non siamo che un attimo,
non siamo che l’inizio, e questa commozione
per un castello ornato di conchiglie
(p. 56)
***
la piccola spiaggia
si è colmata con la marea,
posso vedere tra il mio male
e la bellezza, il nostro male
e tutta la bellezza;
poi i segni invadono
e mi osservo nell’inondazione:
vorrei sapere cosa sono
i cicli della Luna,
come un’ascensione
nella gioia, nei chilometri
da conquistare all’universo
(p. 86)
Christian Sinicco è nato a Trieste nel 1975. Caporedattore di «Fucine Mute», tra i primi periodici multimediali italiani, ha fondato la Lips (Lega italiana poetry slam). Cura l’indagine sulla nuova poesia dialettale confluita in L’Italia a pezzi. Antologia dei poeti in dialetto e in altre lingue minoritarie (1950-2013) (Gwynplaine, 2014) e dirige «Poesia del nostro tempo». Ha pubblicato poesia in rivista e in volume tra cui le raccolte Passando per New York (LietoColle, 2005) e Alter (Vydia, 2019). Suoi versi sono tradotti in albanese, bielorusso, catalano, croato, inglese, lettone, olandese, slovacco, sloveno, spagnolo, tedesco e turco. Sindacalista Cgil, lavora in una delle concessionarie autostradali del Triveneto, in una zona di transito tra Nord Europa, Adriatico e Balcani.





