
ERRATA COMPLICE è la recente silloge di Stefania Giammillaro edita da peQuod (2024) con prefazione di Franca Alaimo. La raccolta si articola in tre sezioni emblematiche (Il Peccato, La Colpa, Il Perdono), seguite da un Epilogo che, con utilizzo del dialetto siciliano, rappresenta un ritorno alle origini. Il percorso poetico è di tipo narrativo ma non necessariamente lineare: “la poesia qui non spiega, ma espone. Non giudica, ma scava.” Ogni sezione corrisponde a uno stadio emotivo e simbolico di un’elaborazione interiore: “il peccato” inteso come passo falso nella sfera amorosa. “La colpa” come senso di corresponsabilità, di complicità appunto, che la vittima può provare. Infine “il perdono” che non è assoluzione dell’altro, ma liberazione di sé. In un’intervista la Giammillaro dichiara: «È un libro nato da una storia vera, dolorosa, dalla quale ho scelto di non uscire solo da vittima, ma da testimone consapevole».
Alejandra Pizarnik firma l’esergo de “Il Peccato”, con due strofe tratte della poesia “L’innamorata” determinando “il punto zero” della raccolta. Ovvero l’innesco del male, il momento in cui l’amore si confonde con la sottomissione. Infatti attenzione “peccato” non va inteso in senso teologico, ma è piuttosto un cedimento dell’identità “Ho detto sì senza parola / e quel sì ha fatto il nido nella carne”. I versi della Giammillaro sono allusivi e spesso laceranti, c’è un senso di accecamento, come se il soggetto poetico fosse entrato nella relazione malsana senza difese, quasi per desiderio di accoglienza. In qualche modo la sezione preannuncia una “colpa”, qui non ancora pienamente consapevole, ma serpeggia tra le immagini: oggetti domestici, mani, voci; mentre il “peccato” è non aver saputo proteggersi, aver creduto che l’amore fosse sopportazione. “Dell’abuso / hai chiesto perdono / confessando peccati mai commessi / Di questa solitudine /filtri oro di lacrime / redente / dalla tenerezza.” E’ interessante capire come l’autrice s’immerga completamente nei versi della Pizarnik, come se facesse propria la sua visione, mostrando un senso di perdita e desiderio, che ha radici nell’infanzia, nella mancanza, nella disobbedienza silenziosa. Il peccato è forse esistere sentendo troppo?
Passando alla seconda sezione – La Colpa – mi colpisce e impressiona come l’esergo sia la prosecuzione della medesima poesia della Pizarnik, districando rapidamente la matassa interpretativa e facendomi capire come questa scelta rappresenti una sorta di spina dorsale segreta e affettiva del libro. Qui la Giammillaro “fonda” la colpa, quella di aver amato, di aver sentito, ma anche di aver taciuto. Alcune poesie come quella dedicata alla strage di Cutro e alla repressione dell’infanzia trovano qui il loro rispecchiamento simbolico: colpe che non si scelgono, ma che si abitano. (…) “E mi arresto / a conoscerne il pianto / E mi stendo /a respirarne il freddo” ma oltre all’impotenza “Era proibito il cortile” “Era proibito urlare in protesta” esiste la consapevolezza della condizione e la voglia di riscatto mai sopita “Da un vetro di roccia / si penetrava il mondo / io pesce rosso / con diritto di parola”.
Giungiamo all’ultima sezione – Il Perdono – accompagnati dall’ultima strofa della poetessa argentina, certamente la più cruda e asciutta. Ma è proprio da questo drammatico esergo che parte la rinascita, quel “perdono” tanto atteso forse – adesso – anche dal lettore. Scrivere è sopravvivere al dolore senza rinnegarlo, così l’autrice affronta l’ultimo atto in una sezione emotivamente ricca di spunti e riflessioni. “Diventa così naturale accorgersi / che non manca nulla ai nostri difetti / per essere completi / per essere perfetti “. Il senso di fede e religiosità affiorano spesso nella sezione lasciando intendere un personale rapporto tra conflitto ed eredità familiare alla quale la Giammillaro raramente resta indifferente. Il suo “Ho vinto Dio” inneggia come preghiera e suona anche come sfida “ho vinto ancora”; si inneggia alla verità come cerchio perfetto di Giotto che “non conosce reti” traghettandoci verso la libertà. Ma c’è una voce misteriosa che aleggia tra le ultime poesie “Non fare caso a me / io sono una sconosciuta (…) Non confondere / l’abitudine col perdono / se è un dono ciò che cerchi / non guardarmi / se non sai dove trovarmi”. Di tutta la sofferenza vissuta, raccontata e affrontata resta la parola e la poesia, vera musa e vincitrice sul dolore. Se la poesia della Pizarnik funziona come una mappa segreta del sentire femminile, oscillante tra solitudine, amore perduto, colpa, maschera e disperazione, la Giammillaro la adotta come specchio interiore, facendola risuonare nelle sue parole, ma anche nei suoi silenzi. Questa silloge rappresenta un dialogo tra voci lontane nel tempo, ma affini nel dolore, nel desiderio di riscatto e nella ricerca di senso attraverso la scrittura.
Nota di lettura a cura di Antonio Corona.
Estratti da ERRATA COMPLICE
da Il Peccato.
Hai votato la sacra bellezza
al tabernacolo di amanti senza tempo
Hai ingoiato scelte e rimorso la lingua
prima dell’ultimo bacio a strappo
stendendo panni di ghiaccio
su gomiti viola
appesi al balcone
delle marionette
Oggi dimentichi la tua forza
e se esiste giustizia che riscatta
la perdi al rigore dei birilli
nel travaglio di un parto, senza nascita
*
Ascolta,
cosa succede sulla soglia
se spacchi l’ombra aperta sui seni
se resisti forte urlando la morte
fin quando ce n’è
In risposta al tuo dolore
dondolando i miei perché
da La Colpa.
Era proibito il cortile
agli schiamazzi
quando le ginocchia sbucciate
bruciavano di vita
appena iniziata
Era proibito urlare in protesta
contro addii mortali
alla coscienza
quando puntare i piedi
era occasione di crescita
Da un vetro di roccia
si penetrava il mondo
io pesce rosso
con diritto di parola
*
Flutti di cielo
navigano al vento
e mi deragliano dai tuoi binari
Sapessi io giungere
coccige al costato
ma cigola la porta
ora che provo a ripararmi
da Il Perdono.
Lasciarsi andare agli argini
sospirando ai margini
e osservare coppie felici
Essere inviso solo ai rami secchi
sapendo che dal veleno una linfa
– può ancora cogliersi
Diventa così naturale accorgersi
che non manca nulla ai nostri difetti
per essere completi
per essere perfetti
*
Nulla è perduto
tutto è adesso
Non sono viva nel ricordo
nell’ossessione
di quel che avrei potuto
La carne è in questo pizzicotto
che giro di traverso per sentirmi
quando non distrae il mare
La parola è ponte che attraversa
la possibilità di perdonarmi
allo specchio dei rimorsi
E se sanguino
sanguinerò per partorirmi
Dalla prefazione di Franca Alaimo
“Oscura” è la definizione che darei della poesia di Stefania Giammillaro, intendendo con tale aggettivo sottolineare non solo la qualità predominante di un teatro mentale ossessionato da una dolente esperienza autobiografica; ma anche la caratteristica formale della sua trasposizione in versi lessicalmente drammatici (vi ricorrono sostantivi quali: ‘coltello’, ‘stimmate’, ‘spine’; espressioni quali: ‘gomiti viola’, ‘grumi di sangue’; e tanti verbi attinenti alla violenza fisica), e spesso alogici per la presenza di simboli e immagini inusitate (in rapporto ad una tematica sempre più sfruttata), a meno che non si dia credito alla supposizione che nello spazio fra i termini accostati, come sembrerebbe, forzosamente, si celi in realtà il molto del non-detto per una sorta di pudore dell’autrice, che, censurati i termini frammezzo, espliciti gli estremi di un ricordo udibile per intero solo da parte di chi provi ad afferrarlo con uno slancio d’immaginazione. […]
Il titolo della silloge Errata Complice, inoltre, ricalcando l’espressione errata corrige non senza un chiaro rimando di senso, riassume bene il percorso di recupero della propria autonomia e libertà, stigmatizzando senza incertezze una relazione sbagliata di cui l’autrice riconosce di essere stata complice con il suo comportamento troppo lungamente tollerante.
In questo senso i versi di Stefania Giammillaro assumono un alto valore testimoniale, utile ad altre donne che vivano una situazione identica e che potrebbero trovare una sorta di manifesto di libertà in questi versi:
Lo sguardo gira ancora intorno
in cerca di un ricordo
che mi sveli essere legata a te.
Ma muta è la risposta
delle spallette su Lungarno
nessun abbraccio che spaventi la piuma
né nodo di tristezza a vomitare saliva
È l’impossibile successo
ora che appartengo
al vuoto del tuo grembo.
Stefania Giammillaro è nata a Messina (1987), è avvocato e dottore di ricerca in diritto processuale civile all’Università di Pisa. Ha all’attivo due pubblicazioni: Metamorfosi dei Silenzi, Edas, Messina, 2017, e L’Ottava Nota – Sinfonie Poetiche, Ensemble, Roma, 2021. Performer poetico-teatrale , cura eventi letterari presso il Caffè Letterario Volta Pagina di Pisa e la libreria Civico 14 di Marina di Pisa, dove organizza la Rassegna Poetica Un (A)mare di Versi – dialoghi d’autore. Fa parte della redazione interna del lit-blog “Le Finestre de L’Irregolare”, nato da un’idea del poeta, scrittore, critico letterario David La Mantia. Alcuni suoi inediti sono stati pubblicati sul quotidiano di rilievo nazionale La Repubblica, nella rubrica La Bottega della Poesia, delle sedi di Bari e di Napoli e su diversi Blog quali: LaRosainPiù, VersoLibero, LeParolediFedro, PoetiOggi.





