a cura di Rosanna Frattaruolo

(Finalista Premio Inedito Colline di Torino 2025)  

*
un viavai d’oracoli
nel porto del peloponneso
in attesa che annotti presto,
si preparano le idee platoniche
alle grandi manovre di precisione,
l’involontaria mutezza delle cellule
sforna trabecole e colonne
di meraviglie d’arazzi tissutali:
tornano a riva
col mare sereno
le cose lunari al fiatar d’estremo.

*
corrono le nostre cellule
a perdifiato
lungo il corrimano
sull’adagio folle dell’agio
perdono l’equilibro
all’altezza del mondo,
ci lasciano fossili a spina d’infinito.

*
tutto regge nella finta quiete
gli oggetti inascoltati dissentono
le piante reclamano una preghiera
- forse la nostra sporca preghiera-
perché non hanno alcun dio da invocare
e magari s’aggirano sulle cime frondose
in cerca dei giganti -mai avuti- del pensiero,
la mancanza crea desiderio e per questo amano
il cicaleccio delle ombre in prodigiosa ascensione
e l’incurabile balbuzie degli angoli eretti retti
che di vuoto in assenza se ne intendono,
aggiusto a mano, col favore dell’onda portante,
le nostre braccia che sono un abbozzo d’ali
per funzionare in terra, su questa terra
ora, so per certo, che un’ipotesi è ferma sulle scale
a gambe chiuse, ci cerca per dimostrarci inconfutabilmente,
lasciami lì, vicino agli alberi, quelli inutilmente fermi
quelli che battono gli zoccoli a fatica sugli steli tremanti
e prosegui finché non avvisti da lontano i puntini rotanti,
appesi al filo di carestia a dondolare nella bufera delle maestranze
a mille nodi i cavallucci marini con la capacità prensoria dei rampanti.

*
arrivano le slitte a traino dei cani
a risvegliare col suono delle campanelle
la letargia storica
delle sinapsi limate dai denti del lupo

e nella penisola circumnavigata
da un filo tirato
da funambolici fossili mesozoici
scatasciamo a piede libero,
giusto il tempo di saperci
nel tardo barocco siciliano,

ci chiamiamo da lontano
a guscio di vastità
sulla spina dorsale
dei numeri paralitici
essiccati alla bocca del gran sale.

*
la poesia è un sintomo,
la febbre più alta possibile delle cose,
perché le cose son mute d’enorme
sulle cime innevate senza croci

la parola è l’infausta malattia
che cuce a filo refe gli umani morti
ai viventi che fingono di non sapere
che nella scala zoologica multipiano dei viventi

si è catalogati a carcasse cellulari gaudenti

Gaetano Giuseppe Magro (Donnalucata-Scicli, 1966) professore ordinario di Anatomia Patologica presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Catania, è pioniere della biopoesia, ovvero del tentativo titanico di sdoganare il linguaggio medico- biologico e tecnico-scientifico nel mondo della parola poetica tradizionale; è autore di n. 7 sillogi poetiche (“Fontana delle ore”, A&B editrice, 2001; “Non sbaglio il vento”, Libroitaliano 2002; “Impermanenza”, Il giornale di Scicli 2002; “Il glomerulo di sale” in antologia, Fara Editore 2010; “Le lumache mediocri”, LietoColle 2011; “Il batterio del tempo” in antologia, Fara Editore 2011; “Il vaniloquio delle cellule ebbre” poema in Incroci, Adda Editore 2014; “Assenza di segnale”, La vita felice 2020) e di n.2 romanzi (“Il mare metafisico di Punta Corvo”, Manni editore 2005; “Formalina”, Fara Editore 2013).
Finalista al Premio InediTo-Colline di Torino 2025 con un estratto dalla raccolta inedita Carcasse cellulari gaudenti.
Fonda e dirige la casa editrice Il glomerulo di sale.

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