DIALOGHI CON AMIN è la raccolta poetica di Giovanni Ibello edita da Crocetti editore nel 2022, con introduzione a cura di Milo De Angelis. Consta di quattro parti: Yucatan, Teorema dei roghi, Be aware of God, Luce cariata dell’avvenire. Il titolo della silloge induce prontamente a un’interrogazione: chi è Amin? Amin è un nome maschile di origine araba che significa “veritiero, onesto e degno di fiducia”; un nome che è stato portato anche da diversi califfi Abbasidi. Una figura liminale, ambigua, simile a un angelo o a uno spettro, forse alter ego dell’io poetico. Non è quindi solo un personaggio, è una voce interiore o talvolta guida di cui Ibello si avvale per condurci in un viaggio poetico che esplora l’assenza, la memoria e la tensione tra il sacro e il profano. In esergo cita il poeta e saggista siriano Adonis o Adunis, pseudonimo di Alī Aḥmad Saʿīd Isbir: L’universo tutt’uno a me / le mie palpebre chiudono le sue / l’universo alla mia libertà fuso, chi di noi due partorito ha l’altro? Introducendoci così alla lettura di poesie che fungono da specchio della realtà attraverso un viaggio certamente difficile e solitario, che profuma di separazione e di ricerca: “Alla poesia che mi farà solo”.

La prima sezione, Yucatan, introduce un paesaggio esotico e insieme interiore, ma nonostante il riferimento geografico non c’è nulla di documentario in queste poesie. Lo Yucatan diventa piuttosto un altrove mitico, simbolico, un’area del sacro e del perturbante. L’incipit della sezione — «La poesia è un lunghissimo addio» — non è solo una dichiarazione poetica, ma una chiave d’accesso all’intera architettura simbolica del libro. L’autore pone il lettore di fronte alla consapevolezza che la poesia non nasce mai da un pieno, ma sempre da una mancanza, da un’assenza che è anche esercizio di fedeltà a qualcosa (o qualcuno) che si perde continuamente. La poesia diventa strumento non per afferrare il reale, ma per salutarlo. In questa tensione tra il trattenere e il lasciar andare, si annida l’essenza della raccolta. Il concetto di addio e separazione ritorna spesso nella sezione travestito in differenti modi come nella risacca che “ci insegna il solo rito possibile: lo smisurato addio”. Dopo svariate citazioni finalmente parla Amin – “Io sono Amin, / colui che restò nel noncanto” – sottolineando la sua posizione liminale, sospeso tra espressione e silenzio, tra presenza e assenza. E con “Ci lega la parola feroce, / una giostra di penombre” […] si descrivono la relazione tra i due ipotetici interlocutori, come una forza che agisce attraverso la parola ma anche attraverso l’ombra. La parola è “feroce”, ossia non addomesticata e la “giostra di penombre” suggerisce un continuo ruotare intorno a una verità che non si lascia mai del tutto afferrare.

La seconda sezione – Teorema dei roghi – si apre con una citazione di Cristina Campo (1923-1977), poetessa traduttrice italiana – Di ogni parola inutile ci verrà chiesto conto – forse rappresenta la parte più densa e drammatica del libro. Il fuoco non è solo elemento purificatore, ma anche testimone di una violenza originaria. Diversi i “dichiaro guerra” affermati da Ibello, esprimono la voglia di lotta e di rinascita così come “Torno allo stato embrionale della vita / nel sonno ibrido del feto” indicano un desiderio fortissimo di ritorno all’indifferenziato, di uscita dall’identità. Il poeta lavora sull’immaginario della rinascita, ma in una chiave non mistica bensì tragica: per rinascere occorre attraversare il fuoco, l’annullamento, forse la morte stessa: la poesia si fa così rito sacrificale. Il perché del “teorema” nel titolo della sezione introduce un elemento razionale, strutturale, come se la distruzione seguisse una logica interna, un algoritmo sacrificale inscritto nel cuore stesso della lingua poetica.
Nella terza sezione – Be aware of God – l’incipit è affidato ad Alessandro Ceni, poeta e pittore italiano, e Ibello affida alla lingua anglosassone il compito di farci ragione sull’essere consapevoli di Dio ovvero vivere in una costante attenzione e dialogo con la Sua presenza. Il poeta confessa ad Amin la propria solitudine di fronte al “primo giorno senza luce”. E’ una sezione ricca e intensa, riflessiva come una pausa che ci concediamo dopo un lungo patire. La sezione suggerisce un’attenzione ossessiva verso una divinità non sempre benevola – “Nasce incendio e muore sole / questa gioia che torna a intiepidire il vento”, gioia che esplode e si spegne. Interessante l’immagine resa a Maradona, presente qui come emblema umano e divino insieme, altro suggerimento forse per le nostre riflessioni “Per ogni fuoriclasse spento / che accarezza la palla con la suola, che infila l’incrocio dei pali, e non esulta.” E dopo tanto dichiarare guerra Ibello rinuncia, “rinuncio al cielo-ziqqurat ai falsi om, […] al sacerdozio della luna” […], getta le armi e da uomo si abbandona per rinascere “Tutto si separa per venire alla luce“.
Giungiamo alla quarta ed ultima sezione che chiude questa raccolta, che potremmo definire anche poemetto, con una vena più riflessiva e anche più lucida e consapevole. In incipit “Scrivere, ammettere la colpa” ci suggerisce tensione tra il desiderio di confessare (quindi scrivere come espiazione) e la consapevolezza che tutto un giorno finirà, “Quando tutto sarà finito / sarà il sonno a irrigidire gli occhi” […] “come un’implosione di pianeti nella mente / turbativa siderale / del corpo che ritorna seme.” Ibello ci lascia con una potente visione cosmica e germinale, dove la morte e la vita si toccano nella carne della parola stessa. Siamo nati per amore e nell’amore soffriamo, di chi è la colpa e possiamo perdonare qualcuno per questo? Forse si cela qui uno dei messaggi di questo intenso quanto impegnativo paroliere poetico, che eleva la poesia e la parola stessa avvicinandola ad un dio di cui non sappiamo né sapremo mai.

Nota di lettura a cura di Antonio Corona.


Estratti da DIALOGHI CON AMIN



PARTE PRIMA. YUCATAN

*
I fiori di tarassaco sulle rotaie
annunciano il disfacimento.
Questo è il cifrato di dio:
una giostra di tagliola e vento.


*
parla Amin

Io sono Amin,
colui che restò nel noncanto.
La pietraluna che stringe
intime alleanze con il temporale.
Sono la vita sognata,
la spada rivolta alle piogge.
Baratri e gemme,
rovesci, sterpi,
acqua di sperma creatore.
Io sono Amin
e non ho mai conosciuto l’amore.
Rivelo la sintassi del crollo:
un urlo angelicato, non si muore.
Vita sempre sognata, mai vita.



PARTE SECONDA. TEOREMA DEI ROGHI

*
Dichiaro guerra
alla piena dei giardini
agli alberi insonni
al canile di luce,
alla pioggia
che porta il grande freddo.
Dichiaro guerra al cielo:
dove sei, dove sei…
dio del fiore nero
.


*
Torno allo stato embrionale della vita
nel sonno ibrido del feto,
dove un diagramma di materia nuova
riproduce fedelmente
il calco delle ossa
la nomenclatura delle vene
e un incavo d’ali nelle scapole.
Questa è la divinazione dei corpi.


*
Dimmi, che voce ha il dio dei deserti?
Cosa ti rimane di quella notte?
I temporali negli specchi
e nessuno spazio vitale
oltre la curva del sonno.
Io non torno, io non torno…



PARTE TERZA. BE AWARE OF GOD


3.
Nasce incendio e muore sole
questa gioia che torna a intiepidire il vento.
Torneremo a dire grazie per il buio,
per l’alba dei rasoi.
Per ogni fuoriclasse spento
che accarezza la palla con la suola,
che infila l’incrocio dei pali, e non esulta.
Come una prostituta annoiata da dio
anche tu volevi fare alta la vita.
Cercavi il tuono nelle serrande,
dribblavi fiori, altalene,
elefanti di vetro. Dicevi:
“Sono felice perché non sono qui”.


*
Non so cosa amo,
ma so cosa feconda il mio verso:
fare del corpo la misura del tremendo.
Non mancare
questo appuntamento/ con l’osceno,
l’uomo che si dispera sopra i seni.



PARTE QUARTA. LUCE CARIATA DELL’AVVENIRE


*
In un sesto di vento
il chiurlo feconda il buio,
un fiore mezzo sacro
che ancora gemma nel sonno.
Nessun uomo, pensai
si salva da un’infanzia felice
.
Nella babele del quasi giorno
io non sono solo.


Cosa resta del sogno?

Io non lo so cosa resta del sogno. Io sono inutile come
la pace. Sono il ras delle ombre, luce cariata dell’avveni-
re.
Conservo questa macellazione del bianco e tracanno,
da ogni vena di luna, quel vino fatto di aceto che chiamavo
incanto.


*
Vedi, c’è un cormorano
che brucia nell’ultimo sole.
L’antico rito della caccia impone
un letto di eucalipto e malva per la preda:
è la forma minima del silenzio.
Avrei perdonato mia madre
se non fossi nato per amore
.


Dall’introduzione di Milo De Angelis
Giovanni Ibello è il più antico dei nostri giovani poeti. Il suo verso si immerge nelle origini, possiede il respiro cosmico dei poemi greci e indiani, è ricco di archetipi, presagi, divinazioni, tutto un universo di simboli arcaici che però viene esplorato da una parola conficcata nei nostri giorni. […]
Ecco, il silenzio. Il silenzio è uno dei protagonisti di questo libro splendido e irripetibile. Ci impone le sue regole di ascesi e di clausura: le nostre preghiere avvengono nel buio degli hangar e noi le ripetiamo come giaculatorie dinanzi a un dio demente, con la paura di essere inghiottiti dall’afasia o da un mutismo sbigottito, un addio che ci attende e suggella ogni nostro gesto, rendendolo così glorioso e vano, sempre sul punto di precipitare in un tacito burrone di ombre. […]


Giovanni Ibello (Napoli, 1989) vive e lavora in provincia di Reggio Emilia. Nel 2018 si aggiudica il premio Città di Fiumicino per la sezione opera inedita con una prima ed embrionale versione del poemetto Dialoghi con Amin. Nel 2020 una sua antologia poetica viene selezionata e pubblicata in Russia dall’editore Igor Ulangin per la collana «Contemporary Italian Poetry» diretta dal critico e slavista Paolo Galvagni. Nel gennaio del 2021 inaugura la rubrica «I poeti di trent’anni» curata da Milo De Angelis per la rivista «Poesia» di Crocetti. Nel 2022 pubblica la versione definitiva del poema Dialoghi con Amin per l’editore Crocetti-Idee editoriali Feltrinelli. Il libro si aggiudica il premio Lerici Pea, il premio Calabria Veneto e il premio Maconi. Dirige il portale della rivista «Atelier» e la collana di poesia «Deserti luoghi» per l’editore Terra d’ulivi. Nel gennaio del 2024 la casa editrice Macabor pubblica il volume «Luce cariata dall’avvenire. Testimonianze critiche per la poesia di Giovanni Ibello» a cura di Carlo Ragliani.

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