a cura di Antonio Corona



A volte, mentre vado camminando

A volte, mentre vado camminando
sul poggio tra gli ulivi, la macchia
fitta e il cielo chiaro, sento una quiete
prendermi di nulla; un vuoto di memoria
e di fatica e come un'onda lenta
accompagnarmi al fianco, un suono
di silenzio, un moto lieve d'aria.
E in questo mio andare cieco
alla deriva; in questo mio vivere
schivo della folla; non ha più spazio
il tempo, accarezzo andando
la scorza antica di un ulivo,
il ramo arcuato di una quercia,
il fiore nato in una crepa.
E sciogliendo alla mente l'ombre
e all'anima i confini, sento piena
la vita nell'ebbrezza di un momento;
nel vento una carezza, e nello stormire
tenue delle foglie; nel flettersi dell'erba
e degli steli, il dolore scivolare dalle mani,
svanire nell'azzurro ogni soffrire.

***

Come accadeva un tempo

Ora che resta di te l'assenza
vorrei che fossimo, madre, ancora
insieme, come accadeva un tempo
attorno al tavolo nelle sere fragili
d'autunno, tra suoni di gesti antichi
e il fruscio del vento sui balconi,
e con le mani stanche ringraziare
il pane, guardare il sole sciogliersi
di là dal fiume oltre la collina,
un lume scarno a rischiarare il viso,
nascondere nell'ombra l'incertezza
del domani e nel silenzio gli agguati
del destino. Vorrei che avessimo ancora
profumo di primavera dentro agli occhi
e così aspettare giorni incisi su sentieri
tracciati alla rinfusa, tornare alle albe
che offrivano la vita, alle stagioni
che disegnavano ritorni, al sigillo del sole
sulla terra. Vorrei non temere l'inverno
che geme sulla soglia, che altre parole
ci portasse il tempo, che verdeggiasse
ancora al ramo la tua foglia.

***

Epilogo

Non so se a me sarà data un'Itaca
in cui tornare, se stanchi gli occhi
anelerò l'approdo dove fu per me
il primo respiro, dove una lenta sera
aspetterò al tempo che rimane.
Forse c'è un'Itaca in fondo
ad ogni cammino, un porto
alla fine di ogni mare, un luogo
in cui trovar riparo per rimirare
il compimento della sorte,
un'isola che tutta ci comprenda,
giaciglio di origine e divenire,
terra di passioni e patimenti,
anfratto di pensieri e desideri,
dove hanno i giorni il sigillo dei ricordi,
dove in cerchio si chiudono le notti.

Dalla presentazione di Rita Imperatori

Il “piacevole stordimento” che l’etimologia assegna alla parola ebbrezza, centrale nel titolo della quarta silloge di Emanuela Dalla Libera, deve essere inteso come la cifra della giovinezza e del suo paradosso, magnificamente reso con l’ossimoro del “tempo che correva lento, mi pareva”, appena dopo la stagione dell’infanzia, in cui “Per noi / sempre una notte di stelle accese nutriva / in seno all’universo”. (…)
(…) La versificazione melodiosa senza eccentricità, ma anche senza lo stridore degli inciampi prosastici, il lessico accurato senza funambolismi, i versi epigrafici disseminati nel tessuto narrativo – folgoranti per lo spessore del pensiero stesso – regalano al lettore vivificante dell’incontro con “scaglie di luce nel silenzio” dentro le quali “trova pace il tormento d’esser vivi”.


Emanuela Dalla Libera nata a Vicenza, laureata in Lettere e Filosofia all’Università di Padova, diventa docente di scuola superiore. Da alcuni anni ha lasciato le nebbie della pianura per il sole della Maremma toscana, dove vive buona parte dell’anno, circondata dai boschi, dagli animali e dal mare, dedicandosi alla poesia. Ha ottenuto premi e riconoscimenti in numerosi concorsi di poesia nazionali. Ha pubblicato racconti e poesie in varie antologie e ha al suo attivo tre raccolte poetiche: Lo sguardo altrove (Gilgamesh, 2017) – Sedimentare il tempo (Gilgamesh, 2020) – Infinito andare (Il Convivio, 2022).

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