a cura di Rosanna Frattaruolo

Danila Di Croce della poesia dice

Una tenda non è una casa, non ha la resistenza di una casa, né la sua compattezza o stabilità.
Non protegge abbastanza, non ripara a sufficienza, non garantisce nemmeno tante comodità.
Puoi portarla con te, però. Puoi provare a piantarla in mille posti diversi e sperimentare che dall’esterno filtra ciò che forse non riesce ad arrivare attraverso l’ostacolo più robusto delle mura. E i suoni e la luce si fanno meno lontani, o meno estranei. Quanto è lì intorno ti accoglie diversamente: avverti di esserne parte proprio in quella superficie ristretta in cui ti sei confinato. Ma quale confine? Anche quello viene meno: una tenda ha vita breve, dello spazio sperimenta la vastità e del tempo l’incertezza. E, soprattutto, la tenda ospita solo ciò che è essenziale e allena alla sottrazione, alla perdita. Costa fatica ogni volta montarla e smontarla, ma abitare la propria precarietà è uno sforzo che vale la pena compiere. Un’esperienza da vivere, più che da raccontare.
E io non so raccontare cosa sia la poesia per me. Mi è capitato molte volte di leggere con ammirazione ciò che tanti poeti hanno detto del suo mistero, della sua funzione; a volte l’ho annotato, l’ho condiviso, ed è stata per me un’occasione per interrogarmi ancora di più sulla natura della poesia. Perché, certo, questo è il punto nodale; si tratta di una domanda ineludibile e chi tenta di accostarsi alla scrittura poetica non può non farci i conti. Confesso, tuttavia, che quando in qualche circostanza anch’io sono stata invitata a pronunciarmi in merito, ho dovuto in seguito riconoscere di aver solo minimamente sfiorato la questione o di aver ceduto alla tentazione di dare una mia definizione, che puntualmente sono tornata a rettificare con insoddisfazione. E forse è un bene. Perché più la diciamo, la poesia, più essa si fa sfuggente, ma anche prodigiosamente vera.
Oggi ho scritto quanto probabilmente a breve rivedrò inappagata e inquieta. Ma tant’è: c’è da spostarsi di nuovo e ricominciare con picchetti, corde e spilloni. Scrutare il cielo, sperare nel vento.
E tornare ad abbassarsi, soprattutto.

La sua poesia ci dice

da Ciò che vedo è la luce, peQuod 2023

Ma avrà pure un verso quest’urgenza
di nominare, di rifare il conto
delle reti – e i pesci senza numero
abboccati scivolano sui corpi
con gli occhi aperti di chi vede e muore.
L’urgenza, sì, di setacciare il campo
e l’abbondanza delle messi, d’ardere
sterpaglie
perché anche il cielo a sera
tutto avvolge alle sue dita di fuoco.

***
da Dove ancora non siamo nati, Puntoacapo, 2024

Senza nulla togliere e nulla
aggiungere all’accadimento
del vero, al dichiararsi delle prove,
passarti attraverso senza che l’uscio
avverta il peso delle ossa, 
l’antinomia dei passi;

tenerti addosso – strazio e amore –
come in una deposizione.
Così cercare solo il lampo
che tutto squarci il velo del mio tempio.

***
inedito

Davvero c’è da sciogliere e chissà
se tutto poi ritornerebbe vergine
il nostro dialogo e con lui il pianto
onesto della comprensione – il cielo
di nuovo acceso da una fiaccolata
di voci.
Indovinare in ogni nodo
un cedimento delle maglie, forse
lo sfiato per le risa, una caparra
che già significa liberazione.

Dicono di lei e della sua poesia

Daniele Piccini, recensione a Ciò che vedo è la luce (peQuod, 2023), pubblicata su “La Lettura del Corriere della Sera” il 24-12-2023: […] Potremmo dire che si tratta di un meditato, paziente, laborioso controcanto al senso di non appartenenza che abita la nostra cultura e il nostro tempo.
Di contro al sentimento di non essere che frantumi, punti, microcosmi dispersi nella vastità indistinta di un oscuro infinito, Danila Di Croce oppone il canto tenace di un appartenere a Qualcuno.
Il suo è un autentico canzoniere, come assicurano i sapienti collegamenti tra testi contigui, un canzoniere che nel suo sviluppo disegna una linea tesa in verticale. Tutto l’io della poetessa consiste nella sproporzione di un rapporto con un Tu irraggiungibile eppure fondante, presente in ogni piega del suo canto come del creato. Il canto stesso che l’autrice modula Gli appartiene pienamente, Gli è donato. Ella si spoglia continuamente di attributi, per avvicinarsi a una nudità elementare che la apra al dialogo con l’eterno, così come spoglio è il tessuto poetico: «La sincerità non è sulle labbra, / non si mescola alle parole / della strada e della folla, / non sa d’esistere. / Si scopre abbassando il ginocchio / e il capo. / / È sapere di essere guardati / da te / la sincerità». Il Tu a cui la parola si volge non ha quasi necessità di essere dichiarato. Il fervore del colloquio e dell’offerta, il paradosso di una distanza enorme e come cancellata nell’atto amoroso della parola indicano che l’Amato è lo Sposo del discorso mistico (mentre tra i poeti del Novecento si potrebbero indicare come presenti all’autrice almeno Giuseppe Ungaretti e Fernanda Romagnoli). […]
Ivan Fedeli, prefazione a Dove ancora non siamo nati, puntoacapo 2024: […] La presente raccolta, intagliata in versi di una bellezza rara, metricamente ineccepibili, è conferma di questa linea poetica, che acquista vigore e tenuta man mano che il libro si costruisce in sé e da sé. L’impressione è che l’autrice resti un passo indietro, come per un ritardo voluto, o tenda a sparire: lo spazio poetico appartiene infatti al divenire, che assume ruolo di soggetto e oggetto di ogni situazione lirica e s’infinita, dantescamente. […]
La tensione che si percepisce è quella di una lingua che non sa ancora dire: la sua distanza è impotenza – “il grido che mi manca”, come suggerisce l’autrice a pag. 104 – e implica un lutto simbolico che porti alla catarsi, purificando la parola stessa, rigenerandola. Ciò giustifica e avvalora le due anime dell’intera raccolta che coesistono, talvolta in modo antitetico: la tendenza visionaria, quasi profetica, espressa come mantra e canto, da un lato, e l’urgenza di un richiamo alla realtà, alla presenza rassicurante delle cose, con il necessario bisogno di una linearità espressivo-esistenziale, più volte ribadita (“il mio inciampo è questo sforzo / di trovarmi schietta, nuda, elementare / nell’agenda degli incontri e dei passaggi”, p. 98), dall’altro. Ne deriva una certezza: che il libro abbia forte respiro unitario e viva come organismo pieno, caratterizzato da un’entropia interna capace di indurre meraviglia, stupore. Si auspica, in ultima istanza, che questo breve scritto introduttivo apra ad ulteriori spunti di ricerca; ciò che preme, nello specifico, è sottolineare l’assoluto valore di una voce poetica che ha cura: voce potente e in divenire, che lascia presagire ulteriori sviluppi. E novità, nel panorama di una poesia contemporanea sempre più puntiforme e instabile.
Isabella Bignozzi, su Dove ancora non siamo nati, puntoacapo 2024 (nota pubblicata su L’Asterorosso): Un viaggio esistenziale, da una postazione accoratamente sublimata, prossima al congedo dall’io: Danila Di Croce, mediante densa percezione intellettivo-sensoriale, tenta l’intesa profonda con l’essere e il suo flusso. Sulla soglia intuitiva di un agostiniano tempo esente, né anteriore né escatologico, ma teso alla piena presenza – a noi, abitanti della finitudine, perpetuamente negato –, la poetessa si mostra in acrobatica umiltà: votata all’ineffabile, apre stanze di esistente mediante variegata metaforizzazione, inanellando immagini fino al cruciale balzo inverso, di resa e consegna di sé: laddove il bello e il vero, lasciati fluttuare, non posseduti né interamente espressi, addensino nel bene, col nudo e vivissimo, puro assenso del cuore.

Danila Di Croce e i suoi poeti

Sono laureata in Lettere Classiche e suppongo che questi studi abbiano lasciato un’impronta importante; mi ritrovo, inoltre, a frequentare quotidianamente con i miei alunni i grandi poeti della nostra tradizione letteraria e immagino che anche questo tipo di esperienza abbia un suo peso. Lo dico perché si è fortemente radicata in me una forma smisurata di riconoscenza, un rispetto pieno di gratitudine per quanti prima di noi hanno tenuto in vita la poesia. Non posso, d’altro canto, trascurare i tanti incontri, per me particolarmente preziosi, che le mie letture (spesso disordinate e dettate dalla voglia smaniosa di conoscere anche la poesia straniera o quella contemporanea) mi hanno portato a fare. Dovendo, quindi, scegliere solo alcuni nomi, mi limiterei a citare, tra i più amati (senza distinzione di nazionalità, epoche o correnti), R. M. Rilke per la profondità del suo sguardo, Dante per quell’universo di bene a cui ci spinge, C. Campo per il suo inattingibile ideale di perfezione. E poi ancora amo la parola che scrosta il silenzio di H. Mujica, i versi di A. Zagajewski, con quell’umanità che si dibatte tra storia ed eternità, la voce visionaria e potente di E. Dickinson, la poesia di P. Cappello, fatta di una dolce concretezza, e infine la postura dritta e l’audacia bruciante di F. Romagnoli.


In dono a Danila e ai lettori di Il Tasto Giallo, di Adam Zagajewski, da Asimmetria (2014) in Guarire dal silenzio, Lo Specchio Mondadori 2020:

I poeti sono dei presocratici. 

I poeti sono dei presocratici. Nulla capiscono.
Attenti ascoltano il bisbiglio dei vasti fiumi di pianura.
Ammirano il volo degli uccelli, la pace dei giardini suburbani
e i treni ad alta velocità che corrono dritti fino all'ultimo respiro.
All'odore del fresco pane caldo
si fermano di improvviso, come se ricordassero
qualcosa di molto importante. Quando balbetta il ruscello montano, il filosofo
s'inchina all'acqua selvaggia. Le bambine
giocano con le bambole, un gatto nero attento impaziente.
Silenzio sui campi in agosto, quando volano via le rondini.
Anche le città hanno i loro sogni.

Vanno a passeggio per strade di campagna. La strada
non ha fine. A volte regnano e allora
tutto si immobilizza - ma il loro dominio non dura.
Quando appare l'arcobaleno, l'inquietudine svanisce.
Nulla sanno, ma notano singole metafore.
Congedano i defunti, le loro labbra si increspano.
Guardano i vecchi alberi rivestirsi di foglie.
A lungo tacciono, e poi cantano e cantano,
finché non scoppia la gola.

*
Poeci to presokratycy

Poeci to presokratycy. Nic nie rozumieją.
Uważnie słuchają co szepczą szerokie, nizinne rzeki.
Podziwiają lot ptaków, spokój podmiejskich ogrodów
i szybkobieżne pociągi, które pędzą przed siebie bez tchu.
Zapach świeżego, gorącego chleba płynący z piekarni
sprawia, że nagle zatrzymują się w miejscu,
jakby przypomnieli sobie coś bardzo istotnego.
Kiedy bełkoce górski strumień, filozof kłania się dzikiej wodzie.
Dziewczynki bawią się lalkami, czarny kot czeka niecierpliwie.
Cisza nad polami w sierpniu, kiedy odlatują jaskółki.
Miasta także mają swoje marzenia.

Chodzą na spacery polnymi drogami. Droga nie ma końca.
Niekiedy królują i wtedy wszystko nieruchomieje
– lecz ich panowanie nie trwa długo.
Gdy pojawia się tęcza, niepokój znika.
Nic nie wiedzą, ale zapisują pojedyncze metafory.
Żegnają umarłych, ich wargi poruszają się.
Patrzą jak stare drzewa pokrywają się zielonymi liśćmi.
Długo milczą, potem śpiewają i śpiewają, aż pęknie gardło.

da “Asymetria”, A5 K. Krynicka, 2014

Danila Di Croce è docente di Materie letterarie e Latino al Liceo Scientifico di Atessa (CH). Dove ancora non siamo nati (puntoacapo 2024) è il suo ultimo libro di poesia, già vincitore nel 2023 come silloge inedita sia al Premio Lago Gerundo che al premio Arturo Giovannitti e finalista al premio Arcipelago itaca. La sua prima raccolta poetica, Punto coronato (ed. Carabba), è del 2011. Più recentemente ha pubblicato Ciò che vedo è la luce (peQuod, 2023), opera vincitrice al Premio InediTO – Torino 2022 e nel 2024 prima classificata al Premio Vito Moretti, terza al Premio Città di Como, quinta al Premio San Domenichino, Premio della Giuria a Città di Latina e finalista ai premi Europa in Versi, Versante ripido e Gozzano.
Con poesie e sillogi inedite ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti in importanti concorsi nazionali e internazionali (tra i quali il Premio Gozzano, Sinestetica, Città di Aqui Terme, Poesia Onesta, Lago Gerundo, Daniela Cairoli, Chiaramonte Gulfi, Arturo Giovannitti, Città di Sant’Anastasia, Bo-Descalzo, Ossi di Seppia, Montano, Arcipelago itaca, Gianmario Lucini). Suoi testi sono presenti su diversi blog e antologie legate a premi letterari; figurano, inoltre, nel Settimo repertorio di poesia italiana contemporanea (AA. VV., Arcipelago itaca, 2023) e su Distanze verticali. Escursioni poetiche sulla montagna (Macabor Editore, 2024, a cura di Irene Sabetta). Danila Di Croce è stata ed è, inoltre, membro di giuria in alcuni concorsi di poesia.


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