
VORAGINI D’AZZURRO è la recente silloge di Adriana Tasin, edita da Interno Libri Edizioni nella collana Interno Versi (45) 2025. La cospicua raccolta, con settantadue liriche, consta di tre sezioni: Che cosa c’è al di là? – Forse gli abissi d’azzurro, pozzi di fuoco – C’è una cattedrale che scende e un lago che sale. In esergo, al grande poeta greco del ventesimo secolo, Ghiannis Ritsos (1909-1990) il compito di ergere la montagna a musa ispiratrice della silloge, capace con l”ah” della sua voce tonante di divenire co-protagonista e compagna di viaggio della Tasin. La sua esperienza maturata in passato nella disciplina dell’arrampicata vengono rielaborate in forma poetica, utilizzandola metaforicamente per descrivere momenti, sensazioni, sfide e rapporti interpersonali in un’ambiente non solo caro all’autrice, ma anche rispettoso e d’indubbia devozione per insegnamento e ispirazione. Un viaggio ad alta quota dove altura e fragilità di pensiero s’incontrano.
La “voragine” è un fenomeno tipico della montagna, dove acque sotterranee s’infiltrano nelle fessure raccogliendosi poi sotto la superficie, consumandone la roccia, formando grotte e altre aperture. L’importanza della “verticalità” s’impone quindi nella raccolta dove nelle Voragini d’azzurro l’elemento colorato può essere indistintamente rappresentato dal cielo (verso l’alto) o dalle acque (verso il basso) e l’orizzontalità del pensiero poetico interseca quello naturalistico e umano. Questa tipologia di approccio si palesa anche stilisticamente e nelle decisioni grafiche di alcuni testi. L’autrice introduce alle sezioni con diverse interrogazioni “c’era un modo di chiedere?” e “cosa c’è al di là?” ponendo immediatamente la montagna al disopra di ogni scontata ragione, con rispetto reverenziale si avvicina ad essa e inizia un cammino intimo e solitario seppur condiviso con altri amici alpinisti. La montagna diventa “matrioska”, è un “labirinto carsico” dove ci si addentra con “torce di fuoco” come in una selva oscura. In questa prima sezione il verso è asciutto, stringato e le strofe ordinate, quasi “costrette” a viaggiare organizzate, squadrate e ben definite in un rigore stilistico che ben si discosta dal precedente lavoro della Tasin (Fatti reali immaginari – Arcipelago itaca). “morte” e “morti” sono elementi importanti, citati tre volte nella medesima sezione, per sottolineare come essa diviene “sposa” nelle acrobazie di legatura e di messa in sicurezza, ma soprattutto come i morti stessi sono elementi vivi delle montagne, aleggiano silenziosi e pazienti, manifestano una loro volontà di permanenza.
Nella seconda sezione lo sguardo si apre: colori, luci e ombre fanno il loro ingresso nella silloge delineando l’elemento montagna in maniera meglio definita dall’immaginario collettivo. La sua autorità è descritta, s’impone all’uomo come certezza e monito, “l’inchino alla roccia” come forma reverenziale a qualcosa che non possiamo contrastare, ma solo cercare di conoscere con doveroso rispetto. E tra queste descrizioni si fa spazio il ricordo di chi non c’è più, siano esse vittime o meno della montagna, che trovano una vita nei luoghi silenziosi e innevati. Il dialogo che la donna-poeta instaura con anime scomparse non cede il passo a banali emozioni, ma traspare con forza emotiva e razionale saggezza “che cosa ne pensi del diventare tu, qui / eternamente filo di neve?” Ma la Tasin gioca anche col suono e la voce nel suo interloquire col “gigante”, usando l’eco come mezzo per comprendere e forse per smorzare la paura.
Anche nella terza sezione – C’è una cattedrale che scende e un lago cha sale – l’autrice cita Arthur Rimbaud, utilizzando alcuni versi estratti dal volume “Illuminazioni” pubblicato postumo nel 1886. Certamente una figura fondamentale nel panorama poetico sia per la sua rivoluzione stilistica sia per l’influenza impressa ai successivi movimenti letterari. In particolare il volume citato è una raccolta di poesie in prosa ricche di immagini oniriche che hanno catturato l’interesse dell’autrice che se ne avvale per stabilire un dialogo intertestuale in grado di arricchire il significato delle opere: “non può che esserci la fine del mondo, andando avanti” dice Rimbaud e qui utilizzata per enfatizzare la tensione esistenziale presente nel percorso metaforico dell’alpinista, simbolo dell’esplorazione interiore e della sfida ai limiti umani. Un’importante correlazione tra le due opere che si manifesta attraverso l’uso di immagini visionarie e l’esplorazione di stati liminali dell’esistenza.
Possiamo asserire che in “Voragini d’azzurro” la Tasin utilizza la metafora della montagna per rappresentare il viaggio interiore dell’uomo, affrontando temi come la mortalità, l’ignoto e la ricerca di un senso. Citare Rimbaud significa sottolineare l’inevitabilità della fine e la necessità di confrontarsi con essa per raggiungere una comprensione più profonda della propria esistenza. Pertanto questo originale e sofisticato connubio letterario, cronologicamente ardito, crea un’efficace connessione artistica tra la sua poetica e quella di Rimbaud, evidenziando come le immagini potenti e il linguaggio evocativo possano essere utilissimi strumenti per esplorare la complessità dell’esperienza umana.
Nota di lettura a cura di Antonio Corona.
Estratti da VORAGINI D’AZZURRO
da Cosa c’è al di là?
uno di noi, voltandosi verso l’ultima
luce:
“qualche volta i vivi non aspettano
non hanno la pazienza dei morti”
da dove eravamo venuti?
da Forse gli abissi d’azzurro, pozzi di fuoco
potrebbero essere gioie se scendono a valle
ti venissero incontro le albe
si levassero di nuovo le voci sparite
invece devi percorrere la cresta in equilibrio
scollare lo sguardo dalle mani cercare sempre
più in alto il grido
da C’è una cattedrale che scende e un lago che sale
Non è che si può trascinare così in alto la vecchiaia
al più si può farle vedere il ciglio pericoloso
condurla a passi tremanti alla soglia temuta
a rivedere all’ufficio anagrafe la data
scivola dall’ultima sosta all’abbraccio vuoto delle scale
nella meraviglia bianca di dolomia scende senza un addio
Adriana Tasin è nata a Tione di Trento (1959), si è laureata in Scienze Naturali all’Università di Bologna e ha insegnato discipline scientifiche a Madonna di Campiglio, dove tuttora vive. Si è dedicata alla scrittura in forma poliedrica focalizzando negli ultimi anni l’attenzione sulla produzione poetica e ottenendo molti riscontri positivi anche in questo ambito, oltreché in ambito narrativo. Nel gennaio 2020 la sua raccolta poetica d’esordio, “Il gesto è compiuto”, con puntoacapo Editrice e nel maggio 2022 ha pubblicato la raccolta poetica “Fatti reali immaginari”, con Arcipelago itaca Edizioni. Con poesie e raccolte inedite ha ricevuto negli anni riconoscimenti a importanti premi nazionali quali: “Lorenzo Montano”, “Arcipelago itaca”, “Europa in Versi”, “Bologna in Lettere”, “Gianmario Lucini”, “Gozzano”, per citarne alcuni. Suoi testi sono stati tradotti in spagnolo, da Antonio Nazzaro, per il Centro Culturale Tina Modotti, e per le Scuole di Poesia di Cuba (in occasione della trentesima edizione del Festival Internazionale della Poesia dell’Avana).





