a cura di Rosanna Frattaruolo
L'assenza colmata dagli oggetti
Allora io mi voglio (ed è)
che queste tue albe memorie
fattesi pètrule, ancora,
picciole levighe e sparse
( quando io medesimo in
te l'arsa ora mi tormenti),
in una sola mano si
stiano così raccolte,
laddove fiorenti semi
siano mìtili segnali
d'oracoli e di/speranze;
carezzevoli e rupestri
entro le marine a/stanze.
Così – anche - sulla rupe
teniamoci – ora: che tu
non temi, e io non m'abbandoni
ai narcisi dolci effluvi
entro i gorghi dell'assenza.
Ricordami allora. Acché
io m'appresti a ritoccare
quelle impronte, a rimirare
la ciottolina stellata,
il vuoto bicchiere, la
chiglia smarrita alla rena.
Ricogliere, anche lontani -
qui – ora - i segni delle mani.
Nei vivi oggetti consumo
resti: sciabordio d'angosce.
Ritrovo ai bagliori sènsili
quelle sicure cantabili
misure che danno spazi
alle luci. E
sazi, di
nulla, fanno
i prolifici
sensi.





