
LA DANZA DEGLI AIRONI è la recente silloge di Matteo Meloni edita da Interlinea edizioni (2024), con nota conclusiva a cura di Franca Mancinelli. La raccolta si articola in tre sezioni (I. Orogenesi, II. Boschi e radure, III. Sconfinamenti) caratterizzate da una sorta di passeggiata poetica tra i territori montani delle Alpi piemontesi. Le origini pinerolesi del poeta hanno infatti ispirato la sua opera che prende spunto dai luoghi nativi, per intraprendere un viaggio umano dove flora e fauna aiutano a comprendere e a descrivere il rapporto tra l’uomo e la natura, senza perdere il contatto con la storia e l’attualità. Un esordio interessante e di piacevole compagnia dove l’ispirazione poetica cerca i giusti compromessi con lo studio del verso, affinché la naturalezza dell’ambiente si trasfonda in piacere di lettura.
La silloge si apre – nella prima sezione Orogenesi – con un doppio esergo di Quentin Meillassoux (1967, filosofo francese e docente di Filosofia presso l’Università Panthéon-Sorbonne di Parigi) e di Antonia Pozzi (Milano 1912-1938 poetessa italiana), che suggeriscono l’importanza della realtà che ci circonda e della montagna emblema per eccellenza di forza e resilienza. D’altronde lo stesso titolo della sezione (dal greco antico ὄρος, “rilievo, montagna” e γένεσις, “origine, causa produttiva”) indica, in geologia, il processo di formazione di un rilievo montuoso. Il termine si riferisce alla formazione degli orogeni, che a causa di movimenti tettonici arrivano ad impilarsi creando una catena montuosa. Proprio da queste montagne, dalle Alpi (dal Monginevro al Monviso) che Meloni inizia il suo viaggio tra una ricca fauna rappresentata da lupi, cervi, api, segugi, tordi, pecore, dallo stambecco, l’astore e la pernice: animali spesso connessi all’ambiente montano e che lo scrittore utilizza soprattutto come indicatori stagionali e più raramente come similitudine “i larici alti come soldati”. Interessante la scelta dei titoli solo per alcuni testi poetici che rafforzano il concetto dell’importanza della roccia (come Peira eicrita ovvero la pietra scheggiata presso San Germano Chisone in provincia di Torino) o di luoghi specifici (come Balziglia e Seytes), ma anche la venerazione della pietra stessa in “Litolatrie” (che intitola tre poesie anticipate da “siamo minerali che camminano e parlano” di Vladimir Vernadoskij).
Nella seconda sezione – Boschi e radure – cambia l’ambientazione e in un’attenta variazione floro-faunistica il poeta ci trasporta in un’atmosfera più intima e riflessiva dove soprattutto gli insetti (api, libellule, coleotteri, afidi, bostrici) diventano protagonisti. Si cerca, forse con maggior interesse da parte del poeta, di collimare natura e sentimenti umani senza perdere il contatto con l’esterno che ci circonda e ci avvolge. “Disinfetta la ferita / la foglia dell’olmo, / compone le cicatrici.” (…) e ancora “Dopo la frana l’abetaia / si era fatta cimitero. (…) “Proverò a curarti in questa / dissolvenza, a ripiegare / nei minuti le garze umide / sulla resina disciolta, a indovinare / l’auspicio dei rami / il volo franto del beccafico”. C’è un rivolgersi a qualcuno o qualcosa in questa sezione, spesso celato e non dichiarato. Meloni preferisce “inglobarsi” in un messaggio forse più universale e meno soggettivo o personale e ogni foglia, piuma o ala d’insetto lo aiutano in questo ambizioso progetto.
Giungiamo alla terza ed ultima sezione – Sconfinamenti – dove s’impone l’arrivo della pioggia: l’acqua come elemento purificativo e chiarificatore che giunge tra le persone, nelle strade allontanando in parte lo sguardo a quella natura più selvaggia che finora ci ha accompagnati. C’è un senso di “ritorno” e di primavera in questo capitolo, un maggiore ricongiungimento tra uomo e natura. Anche l’elemento “luce” è più presente e forte, gli uccelli migratori sono chiamati in causa (“Arrivano dall’Africa le anatre”) quasi a voler chiudere un cerchio iniziato dalla pernice portatrice di neve. Ma è “il petto ampio della terra” a chiudere la silloge (permettetemi naturalistica) che in questo verso ingloba l’amore per tutto ciò che ci circonda e che cerca il significato dell’esistenza non solo tra gli umani, ma anche in un mondo vegetale e animale che spesso trascuriamo o che pensiamo (ingenuamente o intenzionalmente) non essere connesso all’esistenza umana.
Nota di lettura a cura di Antonio Corona.
Estratti da LA DANZA DEGLI AIRONI
da OROGENESI
Sono tornati i lupi,
fino ai dintorni delle borgate.
Di sera osservano nascosti
i movimenti degli umani, le esitazioni
delle pecore più vecchie.
E non fanno prigionieri,
fuggiaschi o partigiani.
da BOSCHI E RADURE
Davanti a uno stagno di libellule
e rane il respiro dell’acqua:
non c’è altro di cui parlare.
Siamo pellegrini sulla via
deserta di un coleottero.
da SCONFINAMENTI
come tanti prati guardati senza dire niente
Mario Benedetti
Non piove, sono lontani
i primi segnali dell’autunno,
sbriciolate le sue terre nella notte.
Ora la collina è un vapore diffuso
dove un riposo si alterna
a un riposo e l’orizzonte
si allarga appiattendo le case.
Il merlo tace accanto al merlo,
come un’ombra o un vento.
Matteo Meloni (1990) vive tra l’Italia e gli Stati Uniti, dove è attualmente dottorando presso la University of North Carolina at Chapel Hill. Laureato in letteratura italiana all’università di Torino, ha insegnato per alcuni anni materie letterarie nei licei. Dal 2016 al 2023 è stato direttore artistico del festival “Pinerolo Poesia”, in provincia di Torino. Ha pubblicato una prima silloge di poesie in Poesia contemporanea. XV Quaderno italiano (a cura di Franco Buffoni, Marcos y Marcos, Milano 2021), con un’introduzione di Fabio Pusterla.




