CENERE DEL RISVEGLIO è la silloge d’esordio firmata Michele Trizio, edita da Marco Saya Edizioni (2024), nella collana “sottotraccia” diretta da Antonio Bux. La raccolta conta quattro sezioni (Spazio – Tempo – Linguaggio – Lascito) contenenti tredici poesie ciascuna. Un’opera di cinquantadue liriche per un esordio che profuma di riflessioni legate al tempo, al vissuto, ai luoghi e soprattutto alla memoria. Trizio ci trasporta in una realtà intimamente legata a un’altra, dove ogni capitolo rappresenta premessa e garanzia di affermazione dei successivi. Un’opera immanente dove nessun luogo o persona è esplicitamente citata, ma aleggia e permane tra le pagine che narrano di realtà in modo scaltro ed empaticamente crudo.

Nella prima sezione – Spazio – Trizio ci introduce e conduce nella propria dimensione poetica: una realtà quasi velata dove le “litanie” (termine che incontreremo più volte all’interno della raccolta) vengono prese a riferimento di descrizioni volte a ricordare eventi o farci immaginare persone, case e comunità che vivono/condividono un quotidiano impresso nella mente dell’autore.  “[…] queste false litanie s’illuminano a giorno e si schiantano sulle case” / Le stanze svuotate, la vita segreta dell’intonaco, le preghiere, le serate trascorse nei parcheggi… Seguire il segno delle tracce, il darsi delle cose […]” . È uno spazio che scorre lento, dove le nostre azioni, compiute sulla terra, hanno valore e lasciano segni. Un monito quasi a voler assumere una maggiore consapevolezza del nostro agire “La terra, la terra / che calpesti non si cancella, sempre fa / di traccia silenzio, parole impronunciate / irte avanzano nelle steppe, le senti?” Anche la morte, e la paura che incute la sua attesa, fanno parte di questa ricca sezione dove il ricordo sopravvive a tutto e ci aiuta, ci conforta e ci unisce in un mondo fatto anche di guerre e di persone mai più tornate. Aleggia infatti nella raccolta un importante senso bellico, forse la vicinanza ad alcuni stati in guerra o il solo percepire l’attualità in modo molto intenso, porta spesso l’autore a fare riferimenti di questo genere, rendendo i testi particolarmente ricchi di una sofferenza che cerca conforto e casolare allo stesso tempo. “Verranno a prenderci. Ci troveranno frammentati, e pieni di cielo”. Particolarmente sentita anche la tematica della mancanza affrontata in alcuni testi poetici per esaltare le positività di questo indiscusso sentimento affettivo “manchi, e per questo sei ovunque”. E se nella mancanza c’è attesa, Trizio ci insegna come nel suo spazio è possibile trovare conforto: nell’ambiente nelle persone nei cieli nella natura perché “di eterno esistere sono solo gli oleandri”.
Nella sezione “Tempo”, come una sorta di scenario bellico dove l’attesa per la nostra sorte è inevitabile, un testo, in particolare, appare molto esaustivo e ricco di significati. Lo sfuggirci del tempo  “il fondo che non appare mai agli occhi”  ci fanno percepire le giornate inconsistenti, “il sonno del giacinto è aberrante” ma l’autore ci tranquillizza quando afferma che “tutto ritornerà all’essenza”. Probabilmente spetta a noi cercarla e trovarla perché “la memoria è per pochi istanti eterna / mentre infinito è il tempo nei luoghi / segreti degli uccelli migratori”. Sarà pertanto il nostro agire, il nostro “fare” a renderci più vivi e audaci nel presente perché “dove non c’è moto il tempo si dilegua”. Non è semplice il concetto di tempo che Trizio vuole sottoporre alla nostra attenzione: è spesso fugace, nella maggior parte dei casi è passato, difficile coglierne l’essenza nel quotidiano che purtuttavia viviamo. L’attesa dice “ha vertebre d’oro” e allora quanto è grande il valore che diamo al nostro tempo?  Ne abbiamo uno circolare, quello dei ricordi, uno lineare che è quello vissuto di fretta che si proietta davanti ai nostri occhi e poi esistono gli spazi che ci permettono di riflettere e ritornare sulla circolarità della memoria.
Alla terza sezione – Linguaggio – Trizio affronta ancora il tema della guerra, le paure e le speranze sempre più dissolte di fronte alla crudeltà, all’ “ansia di attendere la vigilia” e alla consapevolezza che “senza gli alberi, le strade seccheranno la radura”. Nell’attendere il linguaggio si sgretola, il valore delle parole viene meno e “perduta è questa guerra”. Le guerre della nostra epoca sono sconfitte della parola stessa, “gli eroi cercano indietro le loro madri. Non temere, mangerai la nuda terra”. Il concetto e la parola liturgia ritornano sovente in questa sezione: “cosmica liturgia dimessa preghiera” così come anche “liturgia del lascito”  dialogano con l’autore in un’atmosfera cupa e densa di attesa al cambiamento, di un intimo contatto col proprio sentire che trova sfogo ed esempio anche nella naturalità “nel gergo segreto degli insetti” o “”nei segni muti e cuneiformi delle pietre”.
A chiudere la raccolta un “Lascito” dove l’intero cosmo partecipa al proseguo del nostro viaggio “s’increspa il suolo marino / pesci inumani divorano i cieli / vuote finestre rompono l’etere”. Ciò che è stato cenere e ricordo svanirà e “resteremo ancorati alle cornici / scorticati dal sole sulle meridiane”. Gli “aranceti rinnovano il patto con terra”  e “sotto le foglie tramano i nostri corpi così come le mosche”: Trizio ci abbandona al nostro pensiero e destino, il suo percorso poetico è stato intenso, crudo e volenteroso nel tentativo di scuotere coscienze.

Nota di lettura a cura di Antonio Corona.


Estratti da CENERE DEL RISVEGLIO


Dici che ciò che ci resta, alla fine,
sono solo gli odori, e forse poco altro,
gli altri colori sulle superfici vive
mentre noi ci spegniamo piano piano.
E invece infinite volte un profumo
richiama la memoria al suo compito:
preservare le crepe, quelle amate,
che fanno tormento del ricordo.
Manchi, e per questo sei ovunque,
nella materia primordiale imprimi
le forme plastiche del congedo.
Posso solo vivere accanto alla trama
dei vetri, tagliarmi con il sorriso
tuo, impercettibile, staccarmi dal corpo
nella scena del giorno e amare questo
esistere in cui né si va né si rimane.

***

Qui da noi gli anni sfilano via,
il fondo non appare mai agli occhi
e impilate s’accumulano queste immote
giornate di durata e d’insistenza mescolate.
Il sonno del giacinto è aberrante,
ma alla fine tutto ritornerà all’essenza,
anche queste parvenze disanimate.
La memoria è per pochi istanti eterna
mentre infinito è il tempo nei luoghi
segreti degli uccelli migratori, l’attesa
senza oggetto che dice “arrendetevi,
questo cielo non è di noi vinti”, del nostro
farci vanto dell’abbandono.


Michele Trizio (1979) nato a Bari, insegna Storia della filosofia antica e medievale presso l’Università degli studi di Bari. Ha pubblicato alcuni inediti sulla rivista online “Atelier” e sulla rivista “Avamposto”. Nel 2016 Il neoplatonismo di Eustrazio di Nicea (Edizioni di Pagina). “Cenere del risveglio” è la sua silloge di esordio (2024).

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