a cura di Rosanna Frattaruolo

Gisella Blanco della poesia dice

La poesia è un fatto del corpo. Il corpo che fa (poiein) o con il quale si fa, o che viene a sua volta creato. “La poesia è la lingua materna del genere umano” scriveva Benedetto Croce, riprendendo (o forse riscrivendo) J. G. Hamann.
Di più. Quelle che si definiscono figure retoriche sono le teorizzazioni del modo di pensare del cervello umano e, probabilmente, il ragionamento metaforico ha aiutato la creazione della nominazione e, quindi, del linguaggio. Come sostiene G. Manacorda, “la poesia è la forma della mente”, riportando poi le parole di G. Benn: “Cogliere la natura della poesia nel suo concetto e nel suo essere grazie a un’ipotesi nuova, e collocarla all’interno del processo biologico in quanto fenomeno di carattere primario”.
Come ha magistralmente commentato Alberto Bertoni rispetto a una poesia di un grande maestro del Novecento, Paul Celan: “Non si potrebbe dire meglio, e con parole più definitive, la necessità della poesia: la cui esperienza concreta coincide con questo affiorare di un «canto d’emergenza» che lega pensieri e sentimento a una piccola schiera di nomi «svegliati» dalle profondità dell’inconscio, del dna, della lunga durata di una solitudine che muove tuttavia alla socialità, a un respiro condiviso, offrendo una «spinosità» e spartendo l’esperienza di un «piccolo morire»”. E tutti questi elementi, a mio avviso, è possibile scovarli perfino negli esercizi poetici più sperimentali (e riusciti), più antilirici e polemici verso l’espressione del sentimento e la rivelazione dell’io, poiché la poesia è quel codice comunicativo che amalgama l’istintività dell’intuizione – quasi che questa venga da fuori, come sostiene Jung – al lavoro sulla forma e sul suono.
Una parola estenuata dalla puntualità, dalla ricerca dell’esattezza, dalle variazioni, dalle assonanze e dalle consonanze, dai significati plurimi, dalle possibilità ermeneutiche che vivrà nella sua consegna al lettore.
La mia poesia nasce da un suono o da un sintagma che incontro nelle mie strade mentali, per caso: all’inizio è un estraneo, ne registro su carta l’identità senza conoscerlo, senza comprenderlo. Quella locuzione diventerà un discorso, crescerà durante la stesura del testo, sarà dominato da una fame intellettuale che mi costringerà a levare tutto ciò che non è indispensabile (secondo la lezione di Amelia Rosselli) e a mettere in dubbio ogni singolo verso, come tenuta formale e come tenuta logica.

La sua poesia ci dice

Disastro

Char mi ha insegnato il male necessario,
l’intermittenza della coscienza: il poeta vede
la verità, e si acceca nelle altre lingue.
Ti ho visto passeggiare allungando l’ombra
del grido, sospendere, scrivere, improvvisarmi,
ho censito le tue evasioni nella circonvoluzione
della parola, nel verso piano, innocuo,
non ancora innocente.
Ho disseppellito la curiosità dall’ora fatua,
dalla familiarità della battuta, dall’asfalto della strada per casa,

il piccione morto è uguale
nella tua città, nella mia –
passo per passo inghiotto
un’estraneità non integra, reiterata – possiedi,
possiedi il tassello che avanza?
La rimozione è un obbligo della pelle, non
solleva dal peso della mente, conficca
il corpo nelle sue rughe, porta altrove le esequie.
Chi ha il tassello che non coincide, la chiave
del disastro?

*

Supposizioni

Il desiderio delegato a te
decide la dissolvenza, e l’insolvenza del metapronome
tende la guancia all’azzurro del vuoto.
Il delirio è nel vino, il pensiero sospetto
nel sospetto del pensiero, l’architetto
donna non si sa nominare – l’arcata
sopracciliare d’istinto! – la poesia americana è più chiara,
in italiano è complicato, il presupposto del sesso
nello stesso presupposto, suppongo.

*

Salutare

Il bacio è quel fiato rimasto sospeso
tra labbra già lontane, non telefonarsi
dopo, non esistere che tra le ruote
della lontananza, la duna che accompagna la caduta,
scivolami sul petto ma non stenderti, la concisione
del nero a separare le cose, una missione
imperfetta tutta questa nominazione
che sfugge alla metrica, e la riassesta
seguendo il verso, ma è già un concetto
controverso, e scrivere scrivere scrivere
-qualcuno sarà ancora pubblico?- e ricordare la storia
nei colori dei vestiti, è questo tutto il mio pudore, torna
alla prima parola spesa, perfino la pelle si riconduce
a una forma tesa, articolata nel lusso della troppa cura,
della misura sempre sbagliata, dell’omissione del desiderio,
speravo fosse tardi per il saluto, e non è salutare
la chiave del corpo, non è salutare

*

L’era del quasi

Non basta un’intera estate
per sostenere lo sguardo dell’inverno,
i finestrini automatici sbarrati sul paesaggio, l’assaggio
del forse, la sorte nell’imballaggio, c’è ancora
un suffragio per cui morire, lasciamo scorrere il sangue
tra i macchinari che non si sanno maneggiare, e lavorare
lavorare fino a notte, la coltre di vapore
sembra quasi naturale, ed è essenziale
la vita – l’autostrada è corrotta – così come la morte
sul guard rail della penna, stridere e rabbrividire,
soffrire quanto basta alla stagione, senza
alcuna ragione, una deflagrazione sorda,
quasi non si sente tutto questo incidente.

Dicono di lei e della sua poesia

Le mie riscritture sono molteplici, e sempre in dialogo con poeti e critici che stimo, possibilmente molto distanti dal mio personale modo di scrivere ma in linea con intenti e idee sulla poesia.
Lo stesso Bertoni già citato sopra, ha scritto su di me in una nota critica per alcuni inediti pubblicati nella rivista di poesia ispano-americana Aerea: “Quella di Blanco è una poesia fortemente metaforica ma mai allusiva o cifrata, protesa piuttosto a creare un ponte molto saldo fra i quadri di esistenza evenemenziale che costituiscono la trama esterna del racconto e i labirinti, i traumi, i soprassalti di una percezione interiore assai problematica e non poco contraddittoria rispetto a un inquadramento domestico ed esperienziale all’apparenza ordinato e certo poco soggetto alle difficoltà della vita pratica. (…) L’autrice, d’altra parte, è una lettrice tanto avvertita ed ermeneuticamente esperta di poesia da donarci una dichiarazione di poetica esplicita, espressa in modo diretto e letterale: «C’è una compensazione/ sobria tra le cose, una compenetrazione tardiva/ che rimpiazza lo sgomento con l’aspettativa». E il senso profondo della sua poesia, tanto originale da non permettere di riconoscervi ascendenze troppo dirette, non potrebbe essere definito in termini più chiari”. Sulla rivista Satisfiction, parecchi anni fa, scrivevano a proposito del mio primo libro: “I versi ammettono il groviglio essenziale dell’indagine esistenziale e incrociano l’imperfezione del destino e il tocco indelebile delle inquietudini nel vortice delle speranze, aspettative persuasive e persistenti nella poesia, alimentando l’intensità”. E, ancora, Antonio Fiori su Atelier Poesia: “L’indecenza della specie (da un suo verso) poteva essere un altro buon titolo a questa raccolta d’esordio di Gisella Blanco. Ma andiamo con ordine. Per scelta conclamata dell’autrice, siamo di fronte a una poesia sovversiva, estrema, provocatoria, per sua natura difficile da governare. Una poesia che, demistificando una realtà deludente e inautentica, si fa carico anche di una attività ‘costruens’ perché vuole spingerci a prendere coscienza, assumere responsabilità, provare a cambiare il nostro modo di vivere”.

Gisella Blanco e i suoi poeti

Oltre alla già (giustamente) citata Anna Maria Farabbi, le voci che più di tutte hanno influito sulla mia poetica sono quelle di Amelia Rosselli, di Anne Sexton, di Milo De Angelis, di Paul Celan. Ma ciascun poeta che leggo ha un influsso nel mio modo di scrivere, sia in positivo, come affinità da coltivare, che in negativo, come distanza da guadagnare. Non si possono nemmeno trascurare i saggisti e i filosofi che, ciascuno a suo modo, fanno parte della mia poetica: Blanchot e il suo “disastro”, Wittgenstein, Barthes, per fare solo qualche nome. Ma il mio percorso di scrittura è anche fatto di folgorazioni, di fulminanti innamoramenti letterari, di dialoghi silenziosi, ininterrotti. “Io sono molti – molteplice”, diceva Marina Cvetaeva.


In dono a Gisella e ai lettori de Il Tasto Giallo, di Milo De Angelis, da “Milo De Angelis. Tutte le poesie”, Mondadori 2017, il testo a pag. 186

“Non bere la neve,
la neve è una malattia con piume e stormi,
un moto tra pianeti, una
lentissima bugia. E noi abbiamo venduto la luce
con due spighe fuoritempo,
abbiamo la morte nelle gambe cieche.”

“Ricorda la storia
di Fracido, nel terzo reparto: vide le mani
del chirurgo che non scordò il suo errore,
le mani sulla maniglia del taxi
i vetri pesanti che gelavano,
la corsa violenta.”

“Non ti ho mai parlato
di tua madre. Era
bella come l’alga, triste
come i tentacoli dell’aragosta, forte come le pupille.”


Gisella Blanco vive a Roma da diversi anni. Collabora con Il Foglio. Scrive per la rivista Leggere Tutti cartacea e on line, per minima&moralia, per Atelier Poesia cartaceo e on line, per Liguria Day, per Poesia di Luigia Sorrentino, per Smerilliana. Svariati interventi critici e interviste sono presenti su Laboratori critici, Poesia del Nostro tempo e Poesia de Il Corriere della Sera. Ha svolto, come relatrice, lezioni in ambito universitario sulla poesia (Università di Palermo – Dipartimento di Scienze Umanistiche, Corso di studio in Lettere, Insegnamento Istituzioni di Linguistica italiana); nel 2020 ha tenuto una lezione sulla poesia agli studenti di Linguistica Italiana della Sichuan International Studies University di Chongqing (Cina). Nel 2022, per Università degli Studi di Palermo, ha tenuto una lezione sui percorsi della poesia, in occasione dell’incontro del percorso seminariale Attività Tipologia F su “Le parole che ho sempre voluto”. È stata ospite presso l’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, all’interno del corso “Poesia italiana del Novecento – Laurea Magistrale”. Particolarmente attenta ai temi sociali, filosofici e femministi, è autrice della silloge poetica Melodia di porte che cigolano, pubblicata da Eretica Edizioni (2020), compare nell’antologia Inno alla morte, pubblicata da Bertoni Editore (2021), nell’antologia “Cuori a Kabul – Poesie per l’Afghanistan” di Graphe.it Edizioni e nell’antologia Italia insulare – i poeti di Macabor Editore Alcuni suoi testi sono stati tradotti nel Journal of Italian Translantion. Una sua poesia è presente nell’antologia Negli occhi bambini (con una nota introduttiva di Umberto Piersanti per ScriverePoesia Edizioni). Ha scritto una plaquette che compare nell’antologia La terra inesplorata delle donne, Dalia Edizioni. Lavora come editor e nella comunicazione. Ha seguito, per la comunicazione, la Fiera del Libro di Iglesias, il Premio Nazionale Elio Pagliarani, Elba Book e il TeverEstate per il Cibaldone Culture Festival, il Festival La poesia, lingua viva della Soprintendenza Speciale di Roma, Il Maggio dei Libri del Secondo Municipio di Roma. È giurata nel Premio Internazionale Città di Sassari per la Sezione Poesia Edita.


La foto è di Daniele Ferroni

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