Note di lettura di Maria Scerrato

Le quaranta poesie brevi che costituiscono la raccolta Elegie per Calypso di Maria Consiglia Alvino, rappresentano un continuum lirico con il quale l’autrice mette a fuoco la dimensione tipicamente femminile dell’attendere, mentre l’uomo è proteso verso l’avventura. Inoltre sono presentate le mille sfaccettature delle ore interminabili dell’attesa, le domande e i dubbi che sorgono in chi resta.
Qui forse potrei ascoltare ancora/ aspettare la notte, non una paura/detestare infine questo furore/il pazzo utile, che inganna, il sordo/fruscio dell’io, un poco rimanere, altrove.
La narrazione è affidata ad una “maschera” mitologica: la ninfa Calypso, creatura bellissima che rasenta la divinità, relegata sull’isola di Ogigia per aver sostenuto il padre, Atlante, nella Titanomachia. A lei si affida la Alvino, in una sorta di identificazione: Vorrei essere una donna sulla battigia/nulla più.
Secondo il racconto di Omero, Calypso era condannata a vivere su un piccolo lembo di terra sperduto nel mare. Qui le Moire le inviavano eroi e uomini affascinanti di cui ella ogni volta si innamorava perdutamente. L’amore, tuttavia, non era destinato a durare perché gli uomini dovevano o desideravano riprendere il viaggio, mentre la ninfa non poteva lasciare la sua prigione
senza sbarre.
Calypso quindi come simbolo di un attaccamento ad una terra, non scelto ma fortissimo, come tensione verso un infinito irraggiungibile perché si è troppo radicati.
In Elegie per Calypso la condanna all’immobilismo è riflessa negli elementi naturali di un’estate dilatata, incandescente, pesante come il sole implacabile. Il caldo, l’albero di fico, le pietre roventi, assurgono a simbolo che l’anima-lucertola incontra. L’io è un sasso di mare, una piccola pietra fratta al sole di un giorno mediterraneo, resisto all’ombra, al respiro, ai venti salsi, geranio rosso su un balcone mediterraneo.
Questi sono i correlativi oggettivi della poesia della Alvino, forti e delicati insieme, resilienti e femminei, querce costrette ad essere giunchi, per parafrasarla.
Speculare a Calypso è Penelope, altra metafora dell’attendere, nella notte priva di stelle e di speranza: un comune destino femminile, a cui fa eco il mare, la risacca che accarezza il silenzio del contemplare, il frinire incessante delle cicale. È un’attesa gonfia di paure che cresce come la pasta del pane. La paura è un lievito madre/ cresce nella notte ed è la vita, / la vita che ci ostiniamo a dare.
La voce lirica si spoglia delle sue vesti classiche e diventa una donna contemporanea, incapsulata nella gestazione, metafora dell’attesa. Ma i suoi dubbi, le sue paure sono quelli di Teti, madre di Achille, con la sua preoccupazione di proteggere il bambino. Non ti ho dato / la luce per consegnarti alla tenebra. / Un dolore mi preme, saperti mortale.
Tuttavia la donna moderna trova la soluzione: nel fluire continuo, incessante e inarrestabile, si pone come punto fermo per la sua creatura, a cui non può offrire le acque dell’invulnerabilità ma piuttosto il suo cuore.
L’altra figura mitologica che compare è Odisseo, metafora invece dell’andare, che si sente prigioniero sull’isola, nonostante la bellezza di cui può godere e l’allettante promessa dell’immortalità. Misuro i passi sulla sabbia / dichiaro guerra all’estate / a questo incanto oltremare.
Qui forse è uno dei punti nodali della raccolta. La Alvino si sente sospesa tra il restare e l’andare, tra la solitudine dell’esilio e le sfide dell’avventura, in un continuo rimando tra contemporaneità e passato, ricorrendo ad un metodo mitico rinnovato, che non è come scriveva T.S. Eliot, “a way of controlling, of ordering, of giving a shape and a significance to the immense panorama of futility and anarchy which is contemporary history.”
Nelle Elegie per Calypso, l’intento è più delicato e personale: un io alla ricerca di definizione della propria identità, mentre sa che il tempo le sfugge e che le scelte di oggi determineranno il resto della sua vita. A questo contrappone un ruolo, che le è nuovo, bellissimo e carico di responsabilità, quello della madre, di colei che dà la vita.
Nelle ultime liriche scompare la ninfa. La donna ha preso il sopravvento. Il suo restare è compiuto (Restiamo sull’isola, tra le balze/ e le onde tutto muta inerte / possiamo stare fermi/ possiamo essere specchi ed echi/ possiamo ripeterci immobili/ come musica) Pian piano le presenze mediterranee sono sostituite da altre più contemporanee o da quelle aspre e selvagge dell’Irpinia. Sono Alice, la Madonna del Latte o semplicemente la bambina che non fu e alla voce del mare si sostituiscono le sirene delle fabbriche, le campane della chiesa, il clacson delle auto, Atripalda.
Le liriche hanno tutte un tono dolcemente nost-algico, a sottolineare un piccolo rimpianto per il tempo che scorre per i mortali ma nella consolazione che tutto è destinato a ritornare.
La dizione poetica è delicata e forte, sapiente e mai stereotipata e ipnotizza il lettore a restare fisso sul volume e a scorrere le pagine.


Maria Consiglia Alvino è nata ad Avellino, nel 1987.  È laureata in Filologia, Letterature e Civiltà del Mondo Antico; ha conseguito nel 2017 il dottorato di ricerca in Filologia, con specializzazione in letteratura greca antica, presso le Università di Napoli Federico II e Strasburgo. Insegna lettere presso il liceo “V. de Caprariis” di Atripalda (AV), dove vive. Fa parte della comunità poetica Versipelle. Suoi testi in poesia e prosa sono apparsi in blog, riviste e antologie. Collabora con le riviste online Exlibris20 e Readaction Magazine. Nel 2022 è stato pubblicato il suo romanzo d’esordio “A volte la neve” (Readaction Editrice, Roma); la sua silloge poetica Elegie per Calypso, classificatasi prima nell’ambito del premio nazionale L’inedito – sulle tracce del De Sanctis, XV edizione, è stata pubblicata nel 2023 per i tipi di Delta 3 Edizioni.
Nel 2024 ha curato con Emanuela Sica un volume dedicato alle eroine di Ovidio dal titolo Heroides edito da Controluna ed ha tradotto le poesie di Anna Griva Uno scuro filo annodato, sempre per Controluna.

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