a cura di Rosanna Frattaruolo

C’è una vita involontaria 
parallela all’azione e alla ragione.
Vi si accede ad occhi chiusi
e il versante è al buio.
È la città poetica
con i suoi labirinti e l’io errante e solo.
Non vi risiede l’invisibile ma l’indicibile.
Nessuna differenza
tra il sembrare e il morire.

*
da Versi della malapena

Il tempo cronologico divenne oscillante
prolungandosi a volte – o contraendosi –
come a noi sembrava opportuno che fosse.

Mutarono le cose – che erano le stesse –
La ripetizione dell’umore
volgendo all’imprevisto
vide gli oggetti farsi umani
– sembrare che una pena li turbasse
o una gioia repentina –
Fu che un mattino il viale parve abbandonato
l’aia più deserta.
Per la prima volta si destarono inversi l’anima e le cose.
L’una pietrificò
lastrico e muri ricordarono
e nelle crepe fiorirono violette.

*
da La mala hora

Rendimi esperta del sentire più profondamente.
Forzare la lama
perdere gli occhi / fino alla visione.
Dare un nome a tutto questo
perché solo ciò che ha nome / esiste e vale.
Ha diritto alla nascita
ciò che è battezzato dalla lingua.

*
da I luoghi dei labirinti

Ti avrò percorso come una pianura
dalla paura inseguita
o appena da lei scampata.
Non avrò dolore del ritorno
non avrò pensiero.
Il tragico è la follia
che non vede il suo principio.

*
da Tentativi di riconoscimento
È quest’ora un uovo trasparente
– un nido persino vi si legge
sui rami più alti in lontananza –
In realtà il colore non esiste.
Niente si muove nell’aria oppressa e bianca.
Così è l’anima stanca
che di notte ha spento un uragano
ed ora se ne sta nel corpo
come un tuorlo in attesa della piuma.

*
da La casa dell’armonia

La gazza accecata dallo specchio
il maggio dilaniato
da una granata di rose
il gelsomino soffocato dal suo aroma.
Sogno – o sono –
una di queste incuranti apparizioni
che illusione è credere proprie.
Ridurre alla visione il merito
di quanto per sé esiste
e di mostrarsi non cura.
Resti dov’è ogni cosa
sul ramo pieghi il capo la rosa.

*
da I giuramenti del vento

La reciprocità è spesso unilaterale.
Non c’è testimonianza cui faccia seguito
attuazione o conferma.
Nella promessa si è sempre soli.

Dalla prefazione di Tommaso Di Brango

I versi con cui Maria Benedetta Cerro apre le sue Prove per atto unico parlano di una «città poetica» in cui l’io si trova «errante e solo». Si tratta, chiaramente, di una metafora che allude all’interiorità, centrale già nello Sguardo inverso («[nella città poetica] si accede ad occhi chiusi / e il versante è al buio»1). Il fatto che ora la Cerro impieghi una metafora urbana segna, però, ad avviso di chi scrive, un passo in avanti, ovvero un’ulteriore evoluzione nel suo cammino di poetessa. Accostando l’interiorità allo spazio cittadino, infatti, l’autrice di Regalità della luce afferma che il «muto abisso»2 interrogato negli anni precedenti – il territorio «meditativo e intimo»3 […] da cui nasce la poesia – è, in realtà, il luogo di una unità articolata o, se si preferisce, di una molteplicità che cerca di assemblarsi attorno a un più o meno stabile ubi consistam. L’io, insomma, non è solo la sede del sé, ma è anche il luogo in cui trova spazio l’altro da sé: dentro ognuno di noi c’è quel che siamo ma anche ciò che vi è stato collocato dalle nostre esperienze, relazioni, interazioni col prossimo.
Se così stanno le cose, però, è anche evidente che i recessi dell’io, lungi dal fornire soluzione alle inquietudini esistenziali del poeta – e, in ultima istanza, di ognuno di noi –, costituiscono un problema o, forse, una serie di problemi o, meglio, un mistero4. In che misura, infatti, l’altro che mi abita è occasione per farmi accedere alla luce, ovvero alla pienezza di senso e alla compiuta felicità cui pure, costantemente, aspiro? Quando, invece, la sua presenza non costituisce altro che il persistere di vecchie maschere, rottami di un passato di cui sbarazzarsi?5 Di fronte a queste e a molte altre domande, la poesia di Maria Benedetta Cerro riconosce con franchezza che la «città poetica» ha «i suoi labirinti» e che, non di rado, attraversarli significa perdersi, ovvero, letteralmente, perdere sé stessi […]


Maria Benedetta Cerro è nata a Pontecorvo e risiede a Castrocielo – Frosinone. Ha pubblicato: Licenza di viaggio (Premio pubblicazione “Edizioni dei Dioscuri” 1984); Ipotesi di vita (Premio pubblicazione “Carducci – Pietrasanta”, Lacaita 1987), nella terna dei finalisti al “Premio Città di Penne”; Nel sigillo della parola (Piovan 1991); Lettera a una pietra (Premio pubblicazione “Libero de Libero”, Confronto 1992); Il segno del gelo (Perosini 1997); Allegorie d’inverno (Manni 2003), nella terna dei finalisti al Premio Frascati “Antonio Seccareccia”); Regalità della luce (Sciascia 2009); La congiura degli opposti (LietoColle 2012), Premio “Città di Arce”; Lo sguardo inverso (LietoColle 2018); La soglia e l’incontro (Edizioni Eva 2018).
Tra le antologie si segnalano:
La poesia nel Lazio, a cura di Raffaele Pellecchia, Forum Quinta Generazione 1988; Melodie della terra. Novecento e natura, a cura di Plinio Perilli, Crocetti 1997; Dal pensiero ai segni. Idee e versi alle soglie del terzo millennio, a cura di D. Cerilli, Bastogi, 1999; Poesia degli anni novanta, a cura di Luigi Reina, Poiesis (19-20) 1999; Io sono il titolo. Autoritratti in versi di poeti contemp. a cura di Sergio Zuccaro, I Quaderni di Dedalus 2004; L’Evoluzione delle forme poetiche, a cura di Ninnj Di Stefano Busà e A. Spagnuolo, Kairòs, 2013; Farmaco d’amore. Antologia di poeti italiani e stranieri, a cura di Giuseppe Napolitano e Ida Di Ianni, Volturnia Edizioni, 2018.


  1. L’impossibilità (metaforica) di vedere, dovuta a cecità o alla chiusura delle palpebre, impone al poeta di guardare in un’altra direzione (in modo, appunto, inverso) rispetto a quel che accade di consueto, ovvero nelle profondità dell’io. In proposito, mi permetto di rimandare a T. Di Brango, Il «miracolo crudele» della parola – Lo sguardo inverso di Maria Benedetta Cerro, in Id., Scritture dell’incompiuto – Saggi e recensioni, Cassino (FR), Mondostudio Edizioni, 2022, pp. 97-102. ↩︎
  2. M. B. Cerro, Tu mi dici “terrifica e infelice”, in Id., Lo sguardo inverso, Faloppio (CS), LietoColle, 2018, p. 24. ↩︎
  3. M. B. Cerro, Purché sia la gioia: la profondità della gioia, op. cit., p. 49. ↩︎
  4. Sulla differenza tra problema e mistero vedi G. Marcel, Essere e avere, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1999. In questa sede, possiamo sinteticamente dire che, mentre il problema, nei suoi termini essenziali, può essere definito dall’io, il mistero è una questione non pienamente definibile perché inglobante l’io stesso. ↩︎

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