a cura di Rosanna Frattaruolo

Notte

Prendimi tutto,
donna che conosco bene, in ogni ruga – mia stanza
non combatteremo più.
Sono stato in giro, e ho visto la tua saggezza
nella città.
Lasciami disteso sulla coperta a pezzi, lascia che le cimici mi tengano compagnia –
non essere bigotta, vecchia signora:
le tue ferite sono piuttosto disgustose,
ma in città cresce soltanto la sifilide
e tutti gli altri
fiori sono morti.
Mi lascerò invadere dal tuo odore
Letteratura, vero? –
Fiori di miseria, respiro mattiniero dei malati, sogni dei morti!
E io,
invento figure luccicanti di sole … la notte, sul tuo tavolo! –
sollecitato dal cesto dei panni sporchi!
Stanotte la menzogna è ubriaca di sarcasmo
e crepa,
non avendo trovato nulla in città
di autodifesa
Mettimi a dormire,
stendimi a dormire;
o tienimi sveglio e mantieni un tormento nel mio cuore,
se ti piace
[…]

Quasi un Dio

Sto morendo alla mercé di questo caldo
ma potrebbe essere peggio.

Amo mia moglie
ma dovrei amarla di più.

Amo la mia ragazza ma il suo amore dovrebbe essere più universale.
Soltanto una parola la descrive ma non so quale sia.

Tutto è più breve di qualcos’altro:
tutto è più uguale a Dio di qualcos’altro.

C’è competizione nel caos,
una cosa molto stupida.

Sono dubbioso come un ramo di salice
che curvo ammicca all’acqua.

Ammiro il diavolo perché lascia le cose incompiute.
Ammiro Dio perché tutte le completa.

(Ottobre – Dicembre 1931)


Da La funzione Carnevali di Elio Grasso, curatore e traduttore de “Ai poeti e altre poesie” di Emanuel Carnevali.

Mistero Carnevali. O segreto dominante di ciò che diverrà la sua ‘funzione’ affastellata dentro giorni tenaci, dove con inarrestabile volontà tiene testa a vicende familiari, a rincorse sessuali, a vere e proprie voracità. Eventi che lo trasportano oltreoceano, e dunque in vincolo frontale con la sormontante concretezza americana […]
Di certo nei suoi versi, Carnevali trancia in modo aperto quel che si stava producendo, e investe della propria sensibilità la cognizione poetica affermata oltreoceano, con strenua caccia di immagini e con gli ‘insulti’ di quel Rimbaud che lo spinge alla massima libertà, a cui la salvezza deve essere per forza legata. E dal suo punto di vista, come dargli torto? Ogni poesia è fiera delle analogie che egli vi inietta, qualcosa che ai titolari ancora in voga pareva troppo europeo ma che ben presto venne riconosciuto come una scheggia che, pur impazzita, avrebbe dato una svolta alla ricerca poetica […]
Le poesie di Carnevali vanno oltre la funzione che lui stesso incarnò per qualche anno e consentono di moltiplicare un universo ormai del tutto stabilito. Ma ricordiamo che i Canti orfici di Dino Campana uscivano per la prima volta nel 1914, quando Carnevali imparava una nuova lingua a New York e forse pensava già di stratificare la propria esistenza nelle future composizioni. Una luce nell’oscurità delle tempeste, le malattie in cui entrambi infuocarono. Le corrispondenze non sono soltanto della poesia, ci sono forze immaginative se la parola, in una lingua o nell’altra, varca le soglie comuni. La vita del corpo, dunque diventa la vita della poesia, plasmando l’io e cercando un vigore corale dove il corpo si rimette a ciò che lo colpisce duramente. “Dalla giovinezza in giù” scriveva Carnevali, se vogliamo aver a che fare con la vera vita.


Manuel Carnevali nasce a Firenze il 4 dicembre 1897. A soli 17 anni si imbarca per New York dove farai mestieri più umili e imparerà l’inglese leggendo di notte le insegne luminose delle strade che spazza. Inizia a pubblicare poesie, a frequentare gli ambienti intellettuali che in quegli anni determinano la svolta ‘modernista’ nella letteratura americana: Waldo, Frank, Carl Sandburg, Ernest Walsh e William Carlos Williams. È soprannominato il “black poet” per il suo carattere ribelle, oscuro, indipendente, spesso impossibile. Nel ’17 si sposa, ma dopo due anni lascia la moglie. Gli eccessi della sua vita da bohémien è una malattia terribile, l’encefalite letargica, causano il suo rimpatrio nel ’22. Il resto della sua vita trascorre tra cliniche e ospedali, visitato e spesso sostenuto economicamente da artisti quali Ezra Pound, Robert McAlmon, e Kay Boyle (che ne riporta il ricordo di un uomo «meraviglioso, completamente tremante, come una farfalla fissata con gli spilli»). Muore in un ospedale di Bologna l’11 gennaio 1942, strozzato da un boccone di pane.

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