a cura di Rosanna Frattaruolo
Gianpaolo Mastropasqua della poesia dice
Qualsiasi definizione di Poesia per me è sempre riduttiva, tangenziale, deragliante. Come il Duende, è qualcosa che tutti riconoscono e nessun filosofo spiega. E’ un dono, un’epifania per i pochi poeti che sanno vedere al buio, il mistero che abita tutte le Arti, per me la Poesia è oltre la Letteratura. Nel mio PoesiaConcerto “Selva onirica” tento di tradurne dal vivo la quintessenza con tutto me stesso. Parafrasando “Antichissimo e futuro amore”, testo che introduce “Danze d’amore e duende”(Ed. Puntoacapo) potrei dire “è fermare il rumore del tempo, distendersi, fingersi morti nell’erba di una millimetrica nascita, porgere l’orecchio alla terra per ascoltare il battito del cuore del mondo, per sentire il soffio della profezia delle primavere e il grido di tutti i dispersi, all’unisono. Rialzarsi, innalzarsi a stento come neonati con l’attinta consapevolezza negli occhi e una nuova lingua da combattimento per rubare il frammento di futuro prima che diventi annuncio di maceria[…]. Giungere dunque, dove nessun altro è giunto, per allenarsi nella sua vertigine più numinosa, nel suo limbo più inaudito. Salire, risalire folle e sacro, atleta dell’ignoto nei piani dell’esistenza, per fuoriuscire olimpico, novella di massimi sensi, dinastia di ultime labbra. Essere il suo amante assoluto per essere il definitivo amore.
L’unico a cui pur dettando ordini nuovi lei obbedisce costretta nel giogo di forze, nel campo stremato delle grammatiche dove ogni silenzio è una gravidanza, dove il suo letto d’inchiostro e biancofoglio è un regno trasformante, un patto metamorfico. Divenire, attraversando quelle lande mirabili e urlanti per essere il suo strumento
sonoro e corporeo, la sua lingua traducente[…]
La sua poesia ci dice
CORO:
Nella testa che legge risparmiando gli occhi
per eclissarsi nel buio dei pianeti e bruciare
nella lingua semiminima a sondare i celesti
intestini, abitando gli spettri alfabetici
con la santità degli abissi, nel soggiorno
spalancato alle infinibili rotazioni
della materia, come finestra respirante
aperta negli oceani da dita ciclopiche o
mani che manipolando vitree la superficie
fiutarono l’eternità, nell’onda algebrica e salda
delle stringhe miocardiche, nel nodo del seno
che rispondeva salino alle batterie lunari
trascinando le fondamenta umane
nell’apocalissi d’acqua, fino alla cellula
cella che ignorando se stessa senza peso
progrediva nell’organo che trasmutava sangue
come un mantice uterino, nella sinfonia
dell’organismo pescato muto dalle altezze
nel modello essente che nessuno capì
per timore degli angeli, per quei meccanici
uccelli che infestavano l’aria riempendola
di corpi, in quella matrice sillabica di età e
polvere che rinacque per implodere, esplodere
dal caos ancestrale della gravità di un tempo
una musica una somma musica inaudita
divenne suono bianco e bianco corpo
per tutte le miliariformi frequenze udibili
primordiale per natura e gloriosa in nascita
si disse cosmos, la prima pietra lanciata
nell’ignoto come un’estrapolazione dal buio
da un bambino a immagine e somiglianza
del buio, da un bambino troppo piccolo
per scoprirsi dio; questa pietra agghiacciante
scagliò mondo e ossigeno, quel molecolare
piano in altura pulsante che disse Terra
o terra e vita germogliante dall’abisso e dal cielo
o Terra e respiro portentoso delle atmosfere
di mezzo, tu dico tu fiera ossidiana del rimorso
tu che guardi imbronciata e seduta ciò che resta
dell’uomo, tu che ascolti catafratta e ridente
nell’anticamera del sonno, tu che aggiorni
le croci nel giorno più umano, accederai
anticipando la storia nella stessa storia
e ti sembrerà di ascoltare per la prima volta
padre, e ti sembrerà per la prima volta di
piangere, nascere, io che so che io è altro
io figlio di un silenzio assordante io
traghetterò l’anima accompagnandoti
selvatico in viaggio per ordine preadamitico
io maschio io femmina io uomo e donna
in quattro elementi, io strumento attraversato
e voce che attraversa, io corpo di suono
per strumenti umani, io primavera senza nome
dello spavento, io arsi e tesi dell’ignoto –
dall’infanzia terrestre di una civiltà sommersa
all’amore mortale di un tempo adolescente
fino al passo che scardina gli argini dormienti
fino al varco germinale che affonda il presente
nella contraddanza bruciante di un passaggio
all’inferno, inferno costante, inferno vivente
delle bombe umane e dell’urlo soccorso, e risalita
dal fondo con le caviglie leggiere e l’anima nuda
e nuda voce e risonanza traducente e madre
sarai vibrante così vibrante a immagine
e somiglianza del vento, così leggiero
e in leggerezza a somiglianza della luce
così solo afferrerai per prima volta il tuo nome
così come nella notte stellata si aprono gli occhi:
Preludio dal poema sinfonico “Viaggio salvatico” (Ed. Fallone, Collana “Il drago verde”, 2018)
Confessione per Sofia
Mi dici di non credere agli ingranaggi
del tempo, di sposare una pelle celeste
(almeno tre volte a settimana)
tra i pantoclastici divorzi di Dio
e le riappacificazioni della materia,
mi inciti a divenire l’avvocato perso
della natura, per spogliarmi d’ogni cosa,
di ogni pudore civile, di ogni causa.
Mi dici anima di non preoccuparmi
se la poesia è abitata da molte maschere
e pochi volti, se in un’epoca malmessa
passano alla storia servili scrivani
delle botteghe orali, le cosce del caso
letterario, le cavità del vuoto spinto,
e gli eroi, i geni e i santi muoiono
e vivono per un giorno soltanto
come una rosa per l’eternità, se osi,
pericolosi come la libertà − tàtà!
Mi dici il vecchio è tuo padre cosmico
e non posso ingelosirmi di un fantasma
o di una fantasia, una sinfonica follia,
non è maschio né femmina, solo
sente, se piangi o ti arrabbi, sente.
Mi dici sono l’angelo della morte
lo spavento gelido dei bambini
colui che passa, colpisce e dice amen,
l’han detto gli indovini, in piazza Navona,
fu quando ho voltato il capo e ti ho vista
con gli occhi cavi della gente normale
e posso proteggerti dal mondo, dalla fine
del mondo, non da me stesso, da te stessa.
Ti dico seguimi nella città dell’osmanto
con gli antenati di quel sole chiostrato,
come allora tra i sassi, quando suonai
al nostro matrimonio invisibile, nel rito
sancito da testimoni troppo terreni
quando giunse il fanciullo a benedirci:
chi fummo, chi siamo, ora voliamo
nel desiderio ingovernabile dei serragli
ritorniamo pastori dell’accademia, Sofia,
ridiventiamo déi per altri setticlavi di vite
scambiamoci il monile alchemico
del fuoco dei Dari, uniamoci nell’arca
del visibile, nel simposio della mano,
sarò l’eroe, il genio, il santo del tuo corpo
sarò il matto della vita che fiorisce
nella coppa d’ebano del tuo ventre
sogniamo, una e doppia anima, siamo.
Dal Movimento Danze minerali di “Danze d’amore e Duende” (Ed Puntoacapo, 2023)
Voce fuoricampo
Sono l’ultimo della mia specie
posso procedere in posizione eretta
senza vacillare, guardare le aquile
e divenire vento, senza fiatare
aprire il cielo senza incendiarmi,
non ho altari per inginocchiarmi o
divorare, non ho madri né padri, e voi
non siete miei fratelli, né miei figli.
Vi ascoltai brancolando, come si ascolta
un rumore di vuoti sovrapposti
e caduti, nel ripostiglio della grazia,
ero io la danza nel labirinto temporale
dei corpi, il chiodo fisso di un dio
di famiglia, quella sinfonia incompiuta
e incarnata, un setticlavio ferito, una morte
di sette consonanti, il legno che beveva l’aria
per cantare più forte, e ho mentito solo
per amore, perché avevo un’altra lingua
che non vi appartiene, un altro cuore
da battere e un nome d’ossigeno.
Ho cercato di sembrare un vostro simile
di essere una retorica, un imbroglio,
una marcia funebre di formiche fulve,
un attore rupestre, un saltimbanco
della domenica, una recita, una chiesa,
avevo fili silenziosi per accorciarvi la distanza
dalle stelle, ma per voi ero solo un’anima
appassita, nel portafiori del mondo, una parola
che taceva per rimanere viva, un’ombra
seduta, sul tavolo dei vostri astri visibili
con una mano per spegnere la luce
e l’altra per accendere il buio.
Dal Movimento Adagio limbico del poema sinfonico “Viaggio salvatico” (Ed. Fallone, Collana “Il drago verde”, 2018)
Dicono di lui e della sua poesia
[…] il giovane Mastropasqua sembra essere un poeta di talento, si sa muovere abilmente nei meandri della poesia, conosce anche il tragico che la poesia può mostrare. Perché possiede la capacità, scrive ancora Zizzi riferendosi al suo primo libro, Silenzio con variazioni (LietoColle), “di orientare da un’altra parte (dall’altra parte) la penetrazione dello sguardo [ …] raccogliendo poi l’ombra che vi si proietta sulle restanti”. È un libro che vale la pena leggere. Non mancheranno, in positivo, le sorprese.
Roberto Carifi dalla Rivista Internazionale “Poesia” n.203 anno 2006
Quello che mi ha colpito subito in questo densissimo, ricchissimo libro di Gianpaolo Mastropasqua è la perfezione della struttura, la sua musicale, sinfonica, teatrale geometria: c’è un preludio e una coda in cui parla un coro con voce evocante, rutilante, senza tregua, e cinque parti introdotte da pochi versi, semplici, limpidi, che l’autore indica come pronunciati da un corifeo: la struttura da tragedia, sofoclea o shakespeariana, non può non saltare agli occhi del lettore, ancora prima dell’andamento sinfonico del libro, in cui la presenza dello stesso gergo musicale, dalle “semiminime” di uno dei primissimi versi, è così marcata. Nel primo coro, un viaggio “preadamitico” ci porta verso l’origine del cosmo, prima di ogni distinzione tra organico e inorganico, tra umano e non umano, tra conoscenza e ignoto, tra maschile e femminile, in un caleidoscopico vorticare di immagini che si inseguono nel caos dei quattro elementi ancora non bene separati. Il corifeo che apre la prima parte sembra voler riportare a un dettato di ragione ciò che il coro ha cantato in una estasi verbale senza freni.[…]
Non si aspetti il lettore una poesia solipsistica, ombelicale, che parla di sé all’interno del proprio perimetro: il libro di Mastropasqua è un palcoscenico cosmico, uno spettacolo metamorfico di chi diviene corteccia e carta, poi falena, infine una “pagina di cenere con due occhi di foglia”. Ci sono paesaggi dove “le murge si inclinano per non urtare il cielo”, ricordi in cui il padre del padre del poeta “dormiva nel suo grano”, accenni a reparti psichiatrici su uno dei quali si registra quella scritta bellissima nella sua folgorante paradossalità: “Dio c’è/ e / si vede”. La forza di questo autore è nel suo mettere in scena la propria discesa nell’abisso del linguaggio, che è la discesa nell’abisso dell’anima e che va contro, in un sotterraneo percorso civile, la sistemazione solo apparentemente razionale del mondo come è […].
Giuseppe Conte, prefazione a “Viaggio salvatico” (Ed. Fallone, Taranto, 2018)
A la fin tu es las de ce monde ancien
Alla fine sei stanco di questo mondo antico
Questo libro di Mastropasqua propone poesie tridimensionali, verbo-voco-visuali. La terza dimensione testuale è già presente nell’antica Grecia (techopaegnia), a Roma (carme figurata), nel protosurrealismo di Guillaume Apollinaire (calligrammi), nella poesia visuale mondiale degli anni 60′ e 70′ (in Italia ricordiamo la poesia simbiotica di Ugo Carrega), ma Mastropasqua si riferisce soprattutto a “Vision and Prayer” del bardo dal corpo spezzato, Dylan Thomas. L’estrema novità della poesia di Mastropasqua consiste nel fatto che manifesta una dominante musicale in “la minore”. I testi, come in “Vision and Prayer”, non sono strutturati per versi, ma per crescendi e decrescendi di sillabe, unità compositive definite dal crescere e decrescere di sillabe toniche, fenomeno che si risolve in variazioni di vibrazioni, nell’aumentare e diminuire dell’energia vocale iscritta nel testo, energia riconducibile alle emissioni di una voce maschile (“Io”) e una femminile (“Tu”). Questo concento dialogico culmina nell’esplicitazione di una poesia tridimensionale che si celebra, nell’epoca del minimalismo (narrativo, lirico o contemplativo), come voce di una avanguardia che profetizza una poesia vibrante di un’energia tale da dissolvere le tensioni nichiliste del lettore. Lettore che, come al compimento di un impegno sportivo, o al culmine del trasporto erotico, si sentirà invaso da una vampata di adrenalina tale da trascinarlo al culmine di un piacere estetico-corporale. A questo proposito mi pare utile citare la conclusione in “la minore” di questa sequenza di poesia figurata, conclusione che pare una vera e propria dichiarazione di guerra al “tetro teatro” della poesia contemporanea:
“…sulle teste abissate/ il verso volerà vasto/
come un rapace di cenere/sarà raso al suolo dalla grazia/
tutto il tetro teatro dei poeti.”
Tomaso Kemeny, nota a “Ologramma in La minore – Accordatura orchestrale 432 Hz” (Ed. Caosfera, Vicenza, 2019)
Gianpaolo Mastropasqua e i suoi poeti
Ne indico solo 12 partendo dalla nascita della poesia moderna, solo dodici non casuali tra i rari che sento affini per ragioni profonde e indicibili: Arthur Rimbaud, angelo tra le mani di un barbiere, John Keats, per il mio cuore in fiamme sulla sua tomba acattolica, Dino Campana, chimera non estinta tra le rocce della ragione, Dylan Thomas, bardo oceanico dal cuore spezzato di visioni, Osip Mandel’stam, sterminatore del sorriso demente dei secoli, Rainer Maria Rilke, cacciatore spirituale degli oltreversi, Federico Garcia Lorca, duende e gazzella sotto l’arco di Elvira, Pier Paolo Pasolini, eroica lucidità veggente assassinata per puerile voce titanica, Lorenzo Calogero, dalla folle vita ai margini in numinosa grandezza, Amelia Rosselli, musica del soffrire e del volare altissimo, Mario Benedetti, sorpresa e oracolo delle infanzie sublimi che mi scrisse incantato, Assunta Finiguerra che parlava in endecasillabi arcaici e ci tenevamo per mano sui precipizi dell’umana storia.
In dono a Gianpaolo e ai lettori de Il Tasto Giallo, di Mario Benedetti, da “Sassi, posto di erbe, resti” di “Umana gloria” in “Benedetti. Tutte le poesie”, Garzanti, 2017, il testo a pag. 117
“en finir avec le monde”
Pierre Jean Jouve, Matière céleste
Io non ho più niente di me.
Respiro la fatica della stanza a stare
dove gli uomini non sono più.
Io che sono qualcos’altro: distanza dalla vita.
Gianpaolo Mastropasqua nato a Bari, cresciuto nell’Alta Murgia, risiede attualmente nella Città Bianca. Medico Psichiatra e Maestro di Musica. Ultime pubblicazioni: Viaggio salvatico (Ed. Fallone, 2018, Premio Internazionale Nabokov), Ologramma in La minore – Accordatura orchestrale 432 Hz (Ed. Caosfera, 2019, Premio Speciale del Presidente delle Giurie Bologna in Lettere) In Silenzio Maggiore – poesiaconcerto (1999-2005) (Ed. Contatti, Genova, 2022,) che riprende con una sezione inedita i primi libri, Danze d’amore e duende (Ed. Puntoacapo, 2023). Vincitore di vari premi nazionali e internazionali per la poesia, è presente in rubriche (Specchio de “La Stampa”, “La voce del poeta” su Il Denaro, “Ora” Magazine, VerbumPress) Riviste specializzate (Poesia, Il Segnale, Le voci della Luna, Periferie, Incroci, La Gazzetta di Istanbul), Quotidiani (La Repubblica, Il Corriere del Mezzogiorno de “Il Corriere della Sera”, “Il Paese Nuovo” de Il Mattino, Barisera, AffariItaliani, Il Giornale di Brescia, Bresciaoggi, Il Piccolo), il settimanale triestino “Vita Nuova” gli ha dedicato in una intervista la pagina della Cultura. Scelto in circa trenta antologie e blog letterari italiani ed esteri, programmi radio-televisivi (RadioRAI Techetè, RadioUno “Zapping”, RAI Futura TV “Di-Versi”, Telesud, ControRadio, L’AltraRadio, Radio Kaos Italy, Radiograd) nonché nell’Atlante della Poesia Contemporanea “Ossigeno nascente” dell’Università di Bologna, in VIP (Voice of Italian Poets) dell’Università di Torino e in Poetry Sound Library – Mappa Poetico-sonora della Poesia Mondiale. Ha ideato e diretto eventi tra cui il Grand Tour Poetico. Ha partecipato all’Intercontinental YoungPoet Istanbul Festival, al Sardam Alternative Literary Readings Festival di Cipro, al Festival Internacional de Poesia Benidorm y Costa Blanca e scelto durante l’Expo di Milano per il “Bombardeo de Poemas sobre Milan” opera del collettivo cileno Casagrande.
É uno dei 7 poeti contemporanei italiani protagonisti del film “Il futuro in una poesia” presentato alla Mostra del Cinema di Venezia. Alcuni libri o testi sono stati tradotti in spagnolo, rumeno, catalano, tedesco, inglese, greco, turco e cinese. Ha ricevuto i riconoscimenti internazionali Premio D’Eccellenza alla Cultura “Citta del Galateo” in Roma, il “The Light of Galata” dell’IstanbulArts Culture and Tourism, e il Naji Naaman Literary Prize per la Creatività. E’ in giuria per la Poesia in diversi premi letterari. E’ stato inserito nell’Annuario Internazionale Artisti Mondadori ’22, la sua opera “Ologramma in La minore” videoesposta nella Biennale USA 2023/2024. Ha 44 anni.
La foto è di Dino Ignani





