
CORPO CONTRO è la nuova silloge di Daniela Pericone (Passigli Editori, 2024) con prefazione di Gianfranco Lauretano. La struttura interna consta di cinque sezioni di cui le prime quattro (Una gioia inutile – A grandi falcate – A guardia della notte – Una forza impareggiabile) composte da undici poesie ciascuna e l’ultima più corposa (Il turbamento) con venti testi e una poesia sciolta a chiusura. Il prefatore ci ragguaglia fin da subito sulla profonda raffinatezza stilistica dell’autrice che tende al nascondimento dell’oggetto poetico per discrezione della sua stessa voce. Questa definizione è certamente confermata e condivisa perché, già a una prima lettura, la musicalità e l’equilibrio ritmico delle strofe, coinvolgono e destano autentico interesse per la certosina cura alla parola, rendendo il volume, seppur copioso, calamitico e coinvolgente.
La Pericone compie un importante e complesso viaggio poetico, proponendoci dapprima quattro sezioni in cui il “corpo” viene descritto e rappresentato attraverso differenti sfaccettature dell’esistenza terrena, tra azione e consapevolezza del non-agire di fronte agli accadimenti. Nella prima parte – Una gioia inutile – la resa di fronte alla morte è ragionata: le città, la solitudine, i ricordi e le radici fanno da cornice all’incapacità di agire o di “poter fare” di fronte all’inevitabile: “ovunque il mondo / contempla la sua fine”. Regna un’atmosfera rigida e quasi fredda, una contemplazione statica delle cose. Il soggetto narrativo cambia, ma chiunque parli ha “occhi fissi su un punto / troppo vasto” e ci si ostina “a spargere semi in aria / come una gioia inutile”. Nella seconda parte – A grandi falcate – l’autrice con abile tecnica descrittiva e giocando con la luce, permette al sole, al calore, al sale marino di entrare nei versi, utilizzando immagini che s’imprimono fortemente nel lettore. Come nel caso di una lucertola che con un salto sparisce perché “cogliere al volo quando uscire di scena / è talento da pochi – la perfezione / rinnega l’azzardo”. Numerosi, in questa sezione, sono i versi emblematici e minuziosi di un modus vivendi pacato e da osservatrice attenta, capace di calibrare e dosare le emozioni spesso cause di errori.
In – A guardia della notte – altra sezione che rafforza l’importanza dell’accoglienza intesa come capacità di godere delle cose rilevanti dell’esistenza, l’osservazione si sposta su di un piano più personale ed è possibile intravedere l’autrice che delicatamente si rivela. Nella sua fragile paura della realtà perché consapevole di essere “su un vetro sempre sul punto di rompersi”, leggiamo di “un congegno perfetto / ora esisti e d’un tratto finiscono i tuoi anni”. Questa propensione all’accettazione e all’attesa inerme della morte che si approssima, è concetto controverso e filosoficamente espresso dalla Pericone che gioca in un limbo continuo di luce e ombra, di vita e di fine, lasciando sempre ampio spazio al flusso di correnti ricche di avvenimenti che possiamo fare nostre o meno. In fondo noi “decidiamo senza scegliere / fingiamo di vincere”. Così in – Una forza impareggiabile – comprendiamo fin dal primo testo che è proprio la solitudine questa forza, perché in essa possiamo perderci ad ascoltare oppure scegliere di non sentire. D’altronde “la troppa realtà / non fa per l’uomo”, cita riferendosi probabilmente alla frase di Thomas Stearns Eliot (scrittore statunitense, Premio Nobel per la letteratura nel 1948).
Altra peculiare caratteristica della raccolta è la presenza nella quinta sezione di poesie scaturite da riflessioni e studi sull’arte pittorica del Caravaggio (Michelangelo Merisi, 1571- 1610) e che l’autrice ci svela nelle “note ai testi”. Una scelta artistico-letteraria importante che conferma l’aderenza al tema del “corpo” in relazione al titolo della silloge, dove la centralità del materiale, inteso appunto come corporalità dell’essere umano, si scontra con l’immortalità dello spirito. D’altronde Caravaggio è uno dei più importanti rappresentanti del naturalismo, uno stile basato sullo studio e sulla rappresentazione della realtà. L’osservatore è colpito dalla raffigurazione di scene autentiche, dalla presenza di persone umili e del quotidiano, oltra a un efficace utilizzo di luci e ombre che donano ai dipinti un’atmosfera quasi teatrale. Ipotizzo il medesimo tentativo poetico da parte della Pericone che col solo cambio di strumento, da pennello a penna, ci ripropone testi dove il corpo (entità) è descritto nelle molteplicità delle esperienze vissute e dove gli elementi luce e ombra si interscambiano più volte per descrivere l’inconsistenza della nostra natura e l’inevitabile fine (morte) della materia; “immobile attendere / il colpo – la crudeltà a volte / è una forma di compassione”.
Reputo il verso “Accado, nessuno lo sa” un cardine poetico di questa silloge che rivela tutta la saggezza dell’autrice la quale ci mostra come sia ancora possibile affrontare tematiche esistenziali in ambito contemporaneo con un approccio filosofico-poematico, fluendo in un limbo confinante col liricismo. È qui che il “corpo” è “contro” il tempo inesorabile ma è anche contro il pensiero banale e comune. L’essere poeta cosa comporta? La Pericone, in questa silloge, entra in contatto con il proprio io poetico: percepisce la sua solitudine (intesa come maturità esistenziale) che è anche consapevolezza. Da questa nasce la sua scrittura che non necessariamente va vissuta nell’euforia del movimento. Allo stesso modo in cui nell’arte figurativa del Caravaggio il corpo prende vita, diventa soggetto predominante sopra ogni altra cosa, così la Pericone traspone in poesia la forza del corpo e la sua incapacità di opporsi alla morte. “Voltarsi verso la morte con leggerezza / farsi concavi e smisurati per il vuoto / che a grandi falcate avanza”. Le luci e le ombre tipiche del Merisi trovano ugualmente spazio nel suo gioco di dire e non dire, di far accadere e non, di svelarsi o restare celata; “questo solo unisce / cuore e non più cuore / corpo e non più corpo”. È forse questa la poesia: un dire senza dire, suggerire senza insistere, illuminare lasciando vaghe ombre. A noi spetta il cammino nella consapevolezza del nulla che ci attende e nella pacata gioia del ricevere.
Nota di lettura a cura di Antonio Corona.
Estratti da CORPO CONTRO
Intorno i fiori e le piante
non esistono da molto tempo.
Nemmeno lui che ne aveva cura.
Erano tutto il bene rimasto
le ore nel giardino d’inverno
tra i vasi ricolmi
di spine e colori d’un giorno
magnifici, effimeri.
Un padre le piante i fiori
impossibile chiamarli –
tuttavia il rosso esclama
ogni nome.
***
Ora qui ci sono
e non ci sono
mi muovo se mi guardi
sto fermo ma non lo sai
chiuso in questa stanza chiusa
sono io l’esperimento
o tu che osservi eppure
non esisti – teoremi quantici
questioni da fisici – qualcuno
ha detto che troppa realtà
non fa per l’uomo.
Qui ora respiro, la polpa
dentro il torace si arrossa
si espande si contrae.
Accado, nessuno lo sa.
Daniela Pericone (1961) è nata a Reggio Calabria e attualmente vive a Torino. Le sue opere precedenti hanno ricevuto diversi riconoscimenti in ambito poetico: Passo di giaguaro (Ed. Il Gabbiano, 2000, nota di Adele Cambria), Aria di ventura (Book Editore, 2005, prefazione di Giusi Verbaro), Il caso e la ragione (Book Editore, 2010), L’inciampo (L’arcolaio, 2015, prefazione di Gianluca D’Andrea e nota di Elio Grasso), Distratte le mani (Coup d’idée-Edizioni d’Arte di Enrica Dorna, 2017, postfazione di Antonio Devicienti), La dimora insonne (Moretti & Vitali, 2020, nota di Giancarlo Pontiggia e postfazione di Alessandro Quattrone). Si occupa di critica letteraria ed è redattrice di riviste e siti dedicati alla poesia. Tra i premi e riconoscimenti ricevuti, Città di Corciano, San Domenichino, Tra Secchia e Panaro, Francesco Graziano, Camaiore-Belluomini, Lorenzo Montano, Casentino, Pontedilegno Poesia, Città di Acqui Terme, Caput Gauri.




