a cura di Rosanna Frattaruolo
Una come lei
Sono uscita una strega posseduta
che caccia l’aria nera più intrepida di notte
che sogna il male, ho fatto il mio dovere
al di sopra delle case normali, luce per luce:
creatura solitaria, con dodici dita, fuori di sé.
Una donna così non è una donna, del tutto.
Io sono stata come lei.
Ho trovato le caverne calde nei boschi
le ho riempite di tegami, intagli, ripiani,
stanzini, sete, innumerevoli oggetti;
ho preparato cene per i vermi e gli elfi:
lamentandomi, riordinando il disallineato.
Una donna così è fraintesa.
Io sono stata come lei.
Ho viaggiato nel tuo carro, conducente,
ho salutato con le mie braccia nude i villaggi che passavano,
imparando gli ultimi luminosi tragitti, sopravvissuta
dove le tue fiamme ancora mordono la mia coscia
e le mie costole si incrinano dove turbinano le tue ruote.
Una donna così non si vergogna di morire.
Io sono stata come lei.
A piedi nudi
Amarmi senza scarpe
significa amare le mie lunghe gambe brune,
dolci e care, buone come cucchiai;
e i miei piedi, quei due bambini
lasciati fuori a giocare nudi. Nodi intricati,
le dita dei piedi. Non più costrette.
E per di più, vedi le unghie e
le prensili articolazioni di articolazioni e
tutte le dieci parti, radice per radice.
Tutte vigorose e selvagge, questo ditino
è andato al mercato e quest’altro è rimasto
a casa. Lunghe gambe brune e lunghe e brune dita.
Più in alto, mio caro, la donna
sta richiamando i suoi segreti, piccole case,
piccole lingue che ti parlano.
Non ci siamo che noi
in questa casa sulla lingua di terra.
Il mare porta un campanello all’ombelico.
E io sarò la tua schiava scalza per
un’intera settimana. Ti va un salamino?
No. Preferisci non prendere uno scotch?
No. In effetti non bevi. Però
bevi me. I gabbiani uccidono i pesci,
strillando come bimbetti di tre anni.
Il bagnasciuga è un narcotico che invoca
io sono, io sono, io sono.
Tutta la notte. A piedi nudi,
come un tamburo batto sulla tua schiena.
Al mattino corro di porta in porta
nella capanna giocando a farmi rincorrere.
Ora mi prendi per le caviglie.
Ora ti fai strada tra le gambe
e vieni a trafiggermi nel punto della fame.
Da Il problema senza nome, a cura di Marina de Carneri, traduttrice.
[…] La figura della donna strega e ben nota e se le femministe, anche italiane, a suo tempo si sono appropriate dell’epiteto, è in questi versi che vediamo l’origine di questa propria azione. Anne Sexton per prima ha utilizzato questa immagine in una poesia che è diventato il manifesto di una generazione e ha aperto la strada a un’altra figura di donna, quella della bad girl, che purtroppo oggi ci affligge, poiché il fatto vuole che ogni conquista produca il suo estremo negativo. Anne Sexton però non fu una ‘cattiva ragazza’, fu semplicemente una donna che per salvarsi la vita si trovò a trasgredire le convenzioni e che riuscì a sopravvivere (ma, tristemente, solo fino alla soglia della mezza età) grazie alla scrittura. […] Nel 1958 Anne Sexton cominciò a frequentare i seminari di poesia tenuti da Robert Lowell all’Università di Boston. La nuova forma poetica le calzava a pennello, aveva cominciato a scrivere per dare un nome al dolore che sentiva dentro di sé e scoprì che altri stavano facendo lo stesso e, quel che più contava, che c’era un pubblico potenziale pronto a ricevere le sue confessioni […].
Anne Sexton nacque al Newton nel 1928 da una famiglia Borghese e benestante. Nonostante l’infanzia privilegiata, Anne si sentì sempre poco amata ed ebbe un’adolescenza inquieta. Poco interessata agli studi, a diciannove anni fuggi di casa per sposarsi con Alfred Sexton, da cui avrebbe divorziato un anno prima di morire per suicidio nel 1974. Dal matrimonio nacquero due figlie, ma dopo la nascita della seconda, Anne iniziò a soffrire di depressione, di crisi di angoscia e di attacchi di panico finché due giorni prima del suo ventottesimo compleanno, mentre il marito era in viaggio d’affari, tentò il suicidio con un’overdose di sonniferi. Paradossalmente questo primo, ma non ultimo, tentativo di suicidio le aprì una nuova vita: per curare l’angoscia, la depressione e il panico iniziò un percorso psicoanalitico il cui effetto immediato fu quello di cominciare a scrivere. Anne sentì che la poesia poteva essere la sua strada, così scrisse i suoi primi versi e li portò al dr. Orne. Lui li trovò meravigliosi e quindi, come lei disse più tardi: “continuai a scrivere e a sottoporgli i miei versi, proprio per via del transfert; continuai a scrivere, perché avevo la sua approvazione”. Da quella presa di coscienza alla pubblicazione della sua prima raccolta di poesie, non passarono che quattro anni. Per la bibliografia, leggi https://www.viadelvento.it/catalogo/scheda.php?libro=184





