a cura di Rosanna Frattaruolo

TERRENO PER LA SEMINA (A Erika)

Ho scordato tutto, m’hai detto.
L’albero e la linfa, il fiume
e il suo porto franco. Tornando
a casa due querce mi diedero
la buonasera. Per evitare domande
incresciose non carezzai i muri
dell’infanzia. Volavano rasoterra
dei pipistrelli abbagliati dalla luna,
un miagolio di gatti offriva
un pasto caldo allo spavento.
Ma chi può accertare tutto questo
chi ha il coraggio di testimoniare?
Se tu avessi continuato la lotta
con il bosco non saremmo ora
lo zenit e il nadir ma bersaglio
ed arco teso. Placenta ed acqua
sporca di fiumara. Il Caos,
o chi per lui, ha disposto il terreno
per una semina inattesa.
Se batti un colpo, ti risponderà
la luce. Il viaggio impervio,
ricorda, abbrevia le distanze.
“Ho la tua piantina a fianco”
hai sussurrato a me e alle tenebre.

MASCHERE

Tempie deluse, palme deluse
zampe tristi. La memoria è
stanca. Il cielo pure. E questa
desolata, collettiva cecità.
Le bestie sono partite, ormai.
Sono partiti i cristiani
e i timori delle nubi basse.
I prati fingono felicità,
vorrebbero emigrare. Per loro
è un gioco da ragazzi trasformarsi.
Non t’aspetta più la superficie
brillante del laghetto. Né
il fringuello che arresta il canto.
Nessuno più aspetta nessuno.
Per anni hai provato ad imprimere
i tuoi desideri su larghe foglie
di bardane. Per cercare un sorriso
per trovare un suono, o quello
che resta. E la tua maschera
è diventata una mappa
senza tesori, senza pirati.
Vieni con me, chiudi gli occhi.

LA PERGOLA

Il cancello d’ingresso è ingabbiato
dagli sterpi. Non si apre, non si chiude.
La pergola che il proprietario
aveva curato fino a ieri, ora
è il pasto delle spine. I muri
scrostati facili presidi dei licheni.
La stanza da letto sembra invece
Immacolata. Una coperta di lino
ancora linda, il quadro di un santo
appeso alla parete. Una mosca
sembra dormire ai piedi del letto.
Mi viene incontro, gentile
un manichino. – Vedi, mi dice
questo è tutto. M’assale la voglia
di guardare fuori, il viola del tramonto
oltre le colline. Dev’esserci, nascosto
da qualche parte, il mare.
Non domando niente ai ricordi
niente al manichino. Un poco
per rispetto, un poco per pudore.
Ritorno a passi brevi verso
il nulla da cui ero venuto. E grazie
alla mosca che ora vedo volare.

PIEDI DI PORCO

Certe notti d’agosto, si sa
non rifioriscono. Le ingoia il mare,
la sua luce calma. Mutano il volto
dalla sera all’alba le stelle.
Le mani, queste mani
i nodi questi nodi diventano
altre mani, altre pietre.
Il futuro arretra di un passo,
i vecchi sputano dalla tana
dopo essersi segnati.
A metà del buio il mare s’incazza
ma noi non voltiamo pagina
noi non prendiamo rischi.
Gli ulivi, poco distanti,
ce li siamo giocati, un taglio
netto sul collo e via! Uno sputo
sui rami, sugli occhi degli antenati.
Da quando viviamo senza rimorsi
tutto s’è debosciato. Il cane teme
il gatto, i morti se ne stanno
al loro posto, spaventati. Noi,
generazione fottuta, puzziamo
di comodità. La nostra bandiera
è il vuoto che precede il fallimento.
Per incuria, per vano orgoglio
per vocazione al nulla.
Siamo brace e piedi di porco
nel calderone della scordanza.

AL CIMITERO

Al cimitero di Zibido
c’è una tomba cui sono affezionato.
Il marmo in testa leggermente
di traverso, il corpo centrale
di pietrisco consumato, qua e là
qualche chiazza di licheni.
I fiori finti lasciati lì da tempo.
Ma l’effetto spiazzante è dato
dalla foto. Mora di capelli
e d’incarnato, un poco triste
lo sguardo perso, e bello bello.
Non è parente, né mia amica,
giuro. Avrei potuto essere
il suo fidanzato o un ammiratore
della porta accanto. Strana la vita
strani certi incontri, che dicono
di noi più di una madre, che vedono
nell’alba anche il tramonto.
Al cimitero di Zibido si sta bene.
Puoi notare una formica chiamata
dal vento o una piuma seduta
sopra il marmo. A settembre
nasce dall’erba la lumaca,
e certe sere limpide puoi scorgere
il lato ignoto della luna.
Eppure, adesso che ci penso
quasi gelo; dentro quel cimitero
non ci sono mai entrato.


Alfredo Panetta è nato nel 1962 a Locri (RC). Nel 1981 si trasferisce a Milano dove tuttora vive e lavora nel settore infissi in alluminio. Scrive nella lingua madre, il dialetto calabrese reggino della Locride. Ha pubblicato 5 raccolte di poesia: Petri ‘i limiti (Pietre di confine, Moretti& Vitali, 2005); Na folia nt’è falacchi (Un nido nel fango, Edizioni CFR 2011); Diricati chi si movinu (Radici mobili, Ed. La Vita Felice 2015); Thra sipali e sònnura (Tra nidi e sogni, Puntoacapo 2018); Ponti sdarrupatu (Il crollo del ponte, Passigli 2021). Vincitore dei premi: Montale, Pascoli, Gozzano, Noventa-Pascutto, Malattia della Vallata, San Domenichino, Premio InediTo colline di Torino. Per la Casa della Poesia Al Trotter di Milano cura una rubrica dedicata alla poesia scritta nelle lingue di minoranza in Italia. Ha organizzato per 4 anni dei laboratori di scrittura poetica per bambini delle scuole primarie negli istituti di Lecco e Gallarate.

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