
SMENTIRE IL BIANCO è la raccolta d’esordio (Arcipelago itaca Edizioni, 2023) di Silvia Patrizio. Si sviluppa in due sezioni: “Una stanza, dopo il treno” e “Col digiuno negli occhi”. Introduzione di Andrea De Alberti e postfazione a cura di Davide Ferrari. Una silloge intima e introversa dove l’autrice compie un cammino volto alla comprensione del proprio sentire e dell’altrui, attraverso un continuo dialogo tra persone e cose, che la porterà a ricercare nella (discutibile) purezza del bianco i mille volti di una realtà non sempre e necessariamente tangibile. Una poetica non immediata, ma profondamente curata tra “il dire e il non dire”, bisognosa di rilettura e riflessione.
Appare curioso come nell’intento di presentare e commentare questa raccolta, sia inevitabile non cadere nell’utilizzo di verbi con prefissi re- e (soprattutto) ri- , gli stessi che Patrizio utilizza sovente in poesia, caratteristica che ispira infatti Andrea De Alberti nella sua introduzione. La rilettura diventa pertanto caratteristica non solo utile nell’approccio a questa silloge, ma anche spunto di riflessione sul mondo poetico dell’autrice. Il suo “ri-“ è quasi un invito a non fermarsi alla prima impressione, ma a scavare e riflettere su ogni cosa che ci circonda. Capire e ritornare sulle cose: perché accadono, perché a me, a voi, a loro, perché in quel momento e non in un altro, esiste veramente un perché? Il bianco è veramente purezza o resa? La scrittrice ci svela cripticamente il suo pensiero, lasciandoci liberi di scegliere e interpretare, ma soprattutto di sentire.
Nella sezione – Una stanza, dopo il treno – tra le ventisette poesie della Patrizio, s’insinuano quattro testi rispettivamente di Francesca Mannocchi (giornalista e scrittrice italiana), Anna Achmatova (poetessa russa deceduta nel 1966), Amelia Rosselli (è stata poetessa, organista e etnomusicologa italiana – morta nel 1996) e Paola Turroni (social worker e scrittrice). La loro posizione non appare casuale, ma creano all’interno della sezione ulteriori concamerazioni, come stanze o piccoli cerchi che s’intersecano nella creazione di un pensiero complesso, ma logicamente omogeneo. Il “ora nella stanza è tutto fuori posto […]” della Mannocchi, introduce la poesia forse più caratteristica, potente e originale dell’autrice Silvia Patrizio: il suo disordine appare e si palesa, ci costringe alla riflessione, a comprendere dove vuole condurci e che cosa vuole dirci. C’è come una “malattia del bianco”, un malessere quasi impercettibile ma vissuto e che s’insinua tra i versi, cerca la fuga, la libertà e soprattutto l’aria libera. Non vuole costringersi tra le mura. A questo si aggancia il “lume indifferente e giallo” delle candele ardenti della Achmatova che ci introducono ad una nuova dimensione poetica, fatta di poche strofe, incisive ed essenziali. C’è un intimo disagio tra i pensieri intricati ma lucidi dell’autrice: “stanare il verbo che attesti la sclerosi del sentire”, “la scommessa del perdono”, “i sintomi non consentono congedo”, “la disciplina dell’acqua che smentisce goccia a goccia la roccia”. Ed ecco arrivare la citazione della Rosselli “la speranza è forse un danno definitivo” che ci riconduce ad una poetica più ampia e generosa: le strofe si allungano, i contenuti diventano più espliciti e le tematiche più attuali e condivisibili. È veramente adeguata la chiusa di questa prima sezione affidata alla citazione della Turroni: “non c’è altro modo che i gesti/per fare i vivi”.
Nella seconda e ultima sezione – Col digiuno negli occhi – Silvia Patrizio cambia registro e affida la sua voce ad eroine femminili della storia o tratte dal mito come Maria Maddalena, Cassandra, Ipazia, Penelope, Medea, Ophelia. Per fare questo si avvale non solo di strofe poetiche, ma anche di veri e propri poemetti cercando di mantenere aderenza alle vicissitudini che hanno rese immortali le eroine. Sembrerebbe un finale strano per questa silloge così intima, se non fosse per la gestione speculare che la Patrizio sceglie di utilizzare per riagganciarsi a quanto sentito nella precedente sezione. D’altronde il bianco riflette la luce e accoglie le ombre. Se smentire il colore dell’innocenza, della purezza e della resa era l’obiettivo (ignoto e ipotizzato) dell’autrice, possiamo asserire con soddisfacente certezza che ha assolto ai suoi intenti, regalandoci una silloge originale e ricca di spunti e immagini incredibilmente forti quanto poeticamente valide.
Nota di lettura a cura di Antonio Corona.
Estratti da SMENTIRE IL BIANCO
Il danno ha i contorni del corpo
– lesioni ispessimento terapia –
sorprende nomi inediti alle cose
e li chiarisce
nel suo lessico d’aghi
che scuce le vertebre e sceglie
una posizione alla paura.
***
Immagina nell’ordine:
una donna il corteo la ferocia
un dialetto aspro come scoglio
somma la solitudine
e una madre compromessa
immagina una parola:
infanticidio
gli elementi dispongono il giudizio
l’esattezza della diagnosi.
Silvia Patrizio – Nasce a Pavia nel 1981. Diplomata al liceo classico, dopo la prima laurea in Scienze filosofiche e il lavoro di anni in libreria decide di addentrarsi in un nuovo cammino, questa volta lungo i sentieri della filosofia indiana. Consegue il master di primo livello in “Yoga Studies: corpo e meditazione nelle tradizioni dell’Asia” all’università Ca’ Foscari di Venezia e la laurea magistrale in Scienze delle Religioni, inter-ateneo tra Padova e Venezia. Intrecciando la pratica alla pratica dei testi, consegue anche il diploma di insegnante di yoga. Smentire il bianco è il suo primo libro di poesie.




