a cura di Rosanna Frattaruolo

Entra la notte ad assaggiarti 
la pelle tua chiara di Albicocca
quando la finestra è un occhio dolce
come il tuo, fatto di lacrime e desideri.
Siamo, insieme, come il letto
del fiume sfolgorato dalla corrente:
il bene non è il contrario di niente.

**
Onoriamo insieme i vivi
onoriamo gli amici spariti lontano
che non abbiamo mai toccato né voluto
sono tutti spariti
come zanzare morte di freddo
e sarà nostra fortuna
consistere di noi stessi
raggruppati come le palline di mercurio
giù per terra
sul pavimento di macchiette
nere e bianche e grigie
cullando ogni frutto caduto
come le idee
ha le sue ragioni il sole
aprire le braccia
la vita non dà niente in cambio.

**
è l'ora amata dagli insonni
quando cominciano a cantare gli uccelli
e l'inutile notte non è più indicata
tra le possibilità della storia.
La risaputa verità manipolata
a quest'ora non ha peso né pietà.
Col colore che cambia tra i vetri
regaliamo agli altri i migliori pensieri.
Poi tutto sarà crudele e solare
svelato il trucco della tenebra.

**
Novembre si è preso tutto il merito
si è aperto come una finestra:
sono nato in un grande cimitero.

**
Viene Licoride muta
e piangendo le si arrossano gli occhi
i capelli ben intrecciati di ieri,
sciolti non sembrano più quelli,
il vento ci graffia il volto cupo
se gli sguardi si cercano incerti.
Per noi esiste solo quest'attimo
che gli dei renderanno infinito:
non ho parole infatti che possano
renderla di nuovo felice:
Cornelio non torna più
né esiste uomo che possa trovarlo.
E come posso guardare ancora
la bellezza che non ha più un canto?

**
Lo slogan sull'ultima strage
aleggia ancora una volta nell'aria
scherzavamo ieri a contare i fulmini
tu venivi vicina e voltavamo
pagina
è la fine del mondo, si tentava
coi gesti apotropaici conosciuti,
sussurrami nella notte il bianco
qualcosa di più sul destino:
i dolori delle mani si sbiecano
domani piegheremo le lenzuola
leggeremo attentamente il giornale
domani.

**
Torneranno i lupi e gli orsi in città
falchi e poiane marmotte camosci
i cervi fra le auto parcheggiate
e il riccio prenderà coraggio
camminerà a bordo strada da Brescia a Prato
gli occhi dei gatti non si infrangeranno
contro l'abbaglio dei fari
il tempo scorrerà senza misura
solo il buio della notte detterà legge
sui prati e gli alberi cresciuti
e quando i superstiti riapriranno la porta
per uscire a vedere il mondo cambiato
intoneranno il canto del merlo
senza cercare nessuna spiegazione.

Per la poesia di Giovanni Peli, dalla prefazione al libro di Gian Ruggero Manzoni

[…] Rimbaud ha anche scritto che chi non è in continua ricerca di sé non è un poeta, perciò non è in grado di poter coltivare, costantemente, il proprio spirito espressivo, in modo da valicare tutti i propri limiti poi gli altrui confini, così da ritrovarsi (dopo la risoluzione del tempo) sempre in nuovi spazi “di canto” […]. Il dire che a volte le parole gli stringono le viscere, il dire che le parole sono musica, il dire che le parole lo divorano, il dire che le parole scorrono, una volta proferite, in primo luogo sul suo corpo, va a sottolineare il come le parole siano eventi persistenti di purificazione, e, per seguire tale scopo, il sostenere che ogni poesia non è mai ultima, non è mai conclusiva, ma, bensì, dimensione in divenire entro cui convergono la volontà del porsi con carattere, assieme alla dolcezza, la quale solo un incisivo atto di amore “gli e ci” regala, divenendo poi compito, divenendo poi missione di noi tutti […].


Giovanni Peli (Brescia, 1978) è scrittore, musicista, bibliotecario ed editore con Lamantica Edizioni. Comincia giovanissimo come poeta e autore di musiche di scena. Poi sono arrivate le canzoni, i racconti, i libretti d’opera, la fantascienza, i testi per bambini e varie altre cose. Oggi si dedica principalmente alla narrativa che incrocia realismo e fantastico. Tra le molte pubblicazioni ricordiamo l’antologia “Poesie 1994-2024“, i romanzi brevi “Veranio” e “Fermate la produzione” e il disco “Stadio successivo”.

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