
PRIMA DELL’ ESTATE E DEL TUONO è la recente silloge di Luca Pizzolitto (peQuod, 2025) con introduzione di Gianfranco Lauretano, suddiviso in quattro sezioni (La metà bianca del buio – Le cose trascinate via – La strada per la sorgente – Nuovi deserti) e note a margine. Il libro si offre come un viaggio poetico che attraversa le soglie del tempo e della materia, per raggiungere una forma di resistenza interiore, un punto in cui la parola diviene spazio sacro di rinascita. Lauretano, nella sua densa introduzione, parla di un poeta “in cammino, che sta compiendo un attraversamento”, cogliendo a pieno il nucleo di questo libro: una poesia non statica, ma che procede in direzione di un “altrove” non per fuggire, ma per comprendere. Nel suo cammino, Pizzolitto unisce concretezza e visione, memoria e invocazione, in una lingua che cerca la misura del silenzio e la restituisce attraverso immagini precise, corporee, segnate dal fuoco, dal sangue, dall’acqua, dalla cenere. La poesia diventa una sorta di rito di passaggio, che si radica nella terra per tendere alla luce.
La prima sezione – La metà bianca del buio – si apre con un’epigrafe di Pär Lagerkvist (scrittore, poeta e drammaturgo svedese: 1981-1974): «Solo quel che arde diviene cenere. Sacra è la cenere.» Già qui si annuncia infatti il tono della sezione ma, in parte anche della raccolta stessa: il fuoco inteso come principio e compimento, come energia che consuma e purifica. Nei versi – “Del fuoco conservi antica memoria” – “Ora che tutto brucia” – “È in me il lento morire delle cose” – il poeta misura il proprio passo “prima della caduta”, in una tensione costante tra rovina e grazia. Il fuoco diventa metafora di una trasformazione necessaria: ciò che arde non si annienta, ma si trasfigura nella sacralità della cenere. La sezione è quindi attraversata da un lessico di combustione ma anche di luce (“lampare”, “brucia”, “rosa d’altare”, “fuoco sacro”), che traduce il dolore in possibilità. Pizzolitto costruisce un paesaggio interiore dove il corpo e la materia si fondono nel ciclo naturale della distruzione e del ritorno. La parola poetica, in questo contesto, è già una forma di preghiera: “fiorisce la terra nella resa e nel canto”.
La seconda sezione – Le cose trascinate via – reca in esergo un verso di Raffaele Carrieri (scrittore, poeta e critico d’arte italiano: 1905-1984): «Quello che sono e sono stato domandatelo alle strade dei paesi della sete.» È un’entrata nel mondo della memoria e dell’origine. Dopo la fiamma, arriva la sete: la poesia si fa più terrena, più intima, e scende nei luoghi della casa, del padre, dell’infanzia (“Piove sul sentiero del padre”, “Porte chiuse nelle stanze di quando eri bambina”). La parola di Carrieri evoca un Sud arso e malinconico, e Pizzolitto la assume come simbolo di un cammino nella sete dell’uomo, nella ricerca di una risposta che non è nel possesso, ma nell’attesa. Qui si intrecciano la pietà e la carne, la rabbia e la resa: “Consuma l’agonia della carne / i nervi scoperti in terra di fame”. La poesia si fa memoria incarnata, attraversata dalla voce dei morti e da una luce che non consola, ma accompagna. Nel verso “Perché santo è bruciare senza sapere”, l’esperienza del dolore diventa sacramento, e il poeta danza “di nuovo, e danzo ancora” — come se la parola fosse un gesto per rimanere vivi dentro un’assenza.
Con l’epigrafe della terza sezione – La strada della sorgente – di Søren Ulrik Thomsen (poeta e saggista danese) «Esiste una nave con le luci spente, un libro aperto sul silenzio»: il libro si sposta verso un tono più contemplativo. Dopo la sete, si cerca la sorgente: il silenzio non è più mancanza, ma condizione di ascolto. In queste poesie la lingua si fa più scarna, più limpida, come se il viaggio del poeta avesse raggiunto una zona di quiete attraversata da vento, neve, distanza. “Neve che sfiori il ventre d’inverno”, “Conosco ogni distanza”, “La preghiera del vento che sulle labbra tace”: tutto si muove dentro una dimensione sospesa, tra la resa e la grazia. Thomsen già ci invita a leggere il silenzio come spazio di rivelazione e Pizzolitto ne fa quasi il proprio credo poetico: il libro si apre alla trasparenza, a una luce spenta ma viva. La “sorgente” è forse la riconciliazione? La poesia come dissolvimento dell’io nella comunione del mondo.
L’ultima sezione – Nuovi deserti – preceduta dalla citazione del poeta francese Thierry Metz (1956-1997): «Dire una nuvola per opporsi all’abisso», è la più essenziale e verticale. Dopo il fuoco, la sete e la sorgente, resta il deserto: un luogo di spoliazione, di silenzio radicale, dove dire una parola è già un atto di salvezza. Nei versi “Spoglio il sepolcro nell’aurora dissacrata” e “Abitare il corpo dei non ritorni”, il poeta affronta la nuda esistenza, spogliata di orpelli e illusioni. È una poesia che si misura con l’estremo — la morte, l’abbandono, la pietà — ma che non rinuncia alla luce: “Tutto grida, tende alla luce”. La voce qui diventa orazione, gesto sacro, memoria collettiva: “pietà di noi, Signore, pietà di noi”. Non c’è quasi più distanza tra umano e divino: la lingua, ridotta all’essenziale, torna alla sua sorgente e ogni sillaba è atto un di resistenza all’oscurità.
Nota di lettura a cura di Antonio Corona.
Estratti da PRIMA DELL’ESTATE E DEL TUONO
da La metà bianca del buio
Ora che tutto brucia
e tace la peonia in fiore
ora che i nostri corpi
sono carne senza riparo
– si apre la terra al pianto
tar le mani un volto,
un corpo che non è più il mio.
da Le cose trascinate via
Sfiori le bacche del rovo attendi il volto
prima del nome tempo nel tempo
senza memoria imparo dai tuoi fianchi
la danza austera di una notte così vicina
al sogno, pace per ogni deserto
la stanza misura, un fragile vuoto.
da La strada per la sorgente
Dopo la lotta è breve il respiro
l’assenza del tulipano
le bottiglie riverse nel fiume
sotto i muri del caprifoglio
nella cenere di calce crocifissa
dal sole il fuoco sacro della gioia
la mano stanza del buio
la preghiera del vento
che sulle labbra tace.
da Nuovi deserti
E’ nel gemito della carne il morire
è nel cadere qui dove la terra frana
e la luce dagli occhi scompare
il verde ramo sfida l’inverno
l’uccello stringe al becco il nome
vestito d’erba e fuoco canti
la strada in pietra per la sorgente.
Dall’introduzione di Gianfranco Lauretano
[…] Pizzolitto raggiunge poesie che oscillano dal vuoto al pieno della luce. Un’attenzione scarna e sostanziale riporta alla superficie inquadrature insolite, spesso neppure fissate in un’immagine certa, ma solo percepite attraverso il sottilissimo senso dell’anima. il poeta si abbandona al canto discreto che sgorga dalla sua coscienza e genera una specie di unità, di fusione tra quella musica e la natura: “l’abbandono del giglio e delle sue braccia”. Il paesaggio generale che ne deriva non è armonico, né facilmente specificato. Il dramma rimane. è un paesaggio interiore fatto di silenzi, rovine e invocazioni per testi che lavorano sull’immagine, sulla sottrazione e sull’evocazione di un oltre, sempre sfiorato ma mai raggiunto pienamente.
[…] La rinascita non è mai pienamente compiuta, ma evocata come tensione, come desiderio che tiene in vita. Silenzio e rovina, luce e voce sono compresenti: “qui dove tutto tace e splende, tra le rovine”; “Tutto grida, tende alla luce”. Si tratta probabilmente di un’opera in cammino, che sta compiendo un attraversamento. La voce di un poeta che percorre un deserto all’alba o attraverso una foresta in salita per giungere a un monastero in montagna . Lo sguardo lanciato ai mondi esteriori e interiori, che si riflettono incessantemente , intrecciano senza indugio morte e rinascita, voce e silenzio, viandanza e sosta, così che “la luce dagli occhi scompare”, ma anche “il verde ramo sfida l’inverno”. In queste poesie la parola si fa corpo e viceversa, il deserto scende nel viaggio interiore verso una luce già presente, e la salvezza, anche se lontana, rimane necessaria e invocata. La poesia, qui, è spazio sacro di resistenza e ripresa.
Luca Pizzolitto nasce a Torino (1980) città dove attualmente vive e lavora come educatore professionale. Da più di vent’anni s’interessa ed occupa di poesia. Tra i suoi libri ricordiamo: Il silenzio necessario (Transeuropa, 2017), Dove non sono mai stato (Campanotto, 2018), Il tempo fertile della solitudine (Campanotto, 2019), Tornando a casa (puntoacapo, 2020). Con la casa editrice peQuod ha pubblicato nel 202 La ragione della polvere, Crocevia dei cammini (2022), Getsemani (2023). Del 2025 è la plaquette deserti, edita da Ilglomerulodisale. Da fine 2021 dirige la collana di poesia Portosepolto, sempre per conto della casa editrice peQuod. E’ ideatore e caporedattore del blog poetico “Bottega Portosepolto”.





