a cura di Daniel Calabrese
"Marimba" de Jorge Boccanera, traducción de Roberta Buffi
traduzione di Roberta Buffi
Marimba
a David Viñas e SaúI Ibargoyen
Questa è una poesia trainata da cavalli,
sto in piedi, sto ululando,
una parola brilla sulla mia lingua secca,
polverosa,
vuole tracciare i suoi cerchi concentrici in
un’acqua che canta.
arri, cavalli!
Ho “tutto il muso in fiamme come un feroce latrato”
(benedetto mallarmé).
Io sono il cantastorie sopra coperta
che stringe una viola di fronte alla città in rovina.
Liberate la strada,
non canto e basta,
io cerco un mondo altro.
Io non faccio l’inventario della cristalleria,
voglio ridurla in frantumi.
Questa è una poesia trainata da cavalli,
guardate ardere la mia frusta sul vecchio tamburo
della poesia.
Fatevi da parte, porto con me
una spina dorsale un fossile legato con fil di ferro,
un malato d’amore,
un ossario incandescente,
una tomba di baci in fondo alla mia carne.
Con questa poesia vago, divago, ubriaco,
io cantastorie,
le redini,
la palpebra a sbalzi.
Erroneo?
Come colui che aprì un ombrello che il sole abbatté
a baci,
come il cieco che giura sulla luce che lo illumina.
Contropelo andiamo!
Volando!
Qualcuno ha forse visto un sogno trainato da cavalli?
Un tatuaggio sulla coscia che trascinano per il cielo?
Adesso si può vedere.
Niente è impossibile nella vertigine di un letto di
bronzo (trainato da cavalli) dove salo la tua carne
di donna.
Arri maledetti, forza!
Scuotete i vostri collari di sangue.
Ho spuma alla bocca,
un coltello ho in ogni mano,
filacce di un altro volto guadagnate con il sudore,
e un’esca di piume,
e un asso ombroso.
Io voglio un mondo, altro.
Questa è una poesia trainata da cavalli,
questo è il cantastorie sopra coperta.
Lo spettacolo della persecuzione esplode e
arrivano già gli uccelli da rapina,
e le pinne degli squali,
e spunta la lava del vulcano
e un dirupo di pietre con il volto di quella.
Per questo, arri cavalli!
Bisogna accelerare il passo.
Io speroni, io cartucciere, io ghette, io arringa,
mentre attraverso sogni che si annodano in amare regioni,
scheletro di voci bocconi sulla terra.
Il paesaggio, il linguaggio.
(Non c’è nessuno che prenda atto di questa respirazione agitata).
Vicino al carriaggio si sono screpolate le strade,
ci segue un ululare,
ci sbatte contro l’incertezza.
(Nel pacchetto del futuro non troverai nient’altro che una
stampella).
Non comprendono che io voglio un mondo,
altro,
io capriola, io ballo, io marimba, io voglio
la poesia che danzi sulla mia testa,
il mio collo in libertà.
Questa è una poesia trainata da cavalli.
Qui ci sono i miei morti,
le loro ossa parlano con il freddo.
Questo è un cantastorie sopra coperta,
sui suoi occhi una città in rovina.
A volte la sua lingua è stata una borsa che a malapena
si muoveva al vento,
pesante come il corpo di un annegato.
A volte la sua lingua è stata un brandello di straccio
dinanzi al corpo della bellezza.
Ora vuole cantare. E dice e grida.
¡che nessuno incappi in me!
Sto all’erta, in piedi,
fazzoletto rosso, cappello, coltello, banderuola,
mentre attraverso sete che si ricordano in
‟antica danza,
angeli di ferraglia imbrillantinati,
tendaggi mossi da un guanto vuoto
e una cifra tristissima di gente che non c’è.
Io sono il cantastorie sopra coperta
“i miei versi sono imbrogliati e accesi come il mio cuore”
(caro martí).
Devo seppellire parole nel fuoco,
urge che consegni un paio di lettere,
urge che arrivi a una riunione,
devo intonare un inno,
urge che senta a mio figlio la sua prima parola
quando lei l’offusca con le sue piume di stupore.
Non voglio la parola sazia di sé stessa,
né la verità dorata dove non stride un uccello,
non voglio immagazzinare saliva,
né la tosse delicata che raccoglie il suo applauso.
Voglio baciare il caos.
I detriti del cielo non mi danno da bere.
Io sono il cantastorie che vuole un mondo,
altro,
e cerca nella polvere della poesia magari una respirazione
inutile, bocca a bocca,
forse un bicchiere di sangue dove non entra nemmeno
una goccia di paura.
E così di giorno, tanti giorni
in cui apro gli occhi nel fango.
Fuggire da questa poesia? Buttarmi nel vuoto?
Gettarmi in mare? Nelle braccia di chi?
Che presunta purezza? In quale animale dei segni
che non sia questo fulmine?
Il linguaggio, il paesaggio.
Non mi muovo da qui,
sta facendo fuoco e fiamme questo sogno.
Ho visto sfilare la paura, l’infamia, il verso fiacco,
gli occhi sono bendati sotto gli occhi,
la bocca imbavagliata sotto la bocca
e una lingua inchiodata ai pali a metà silenzio.
Io sono il cantastorie sopra coperta.
Non canto e basta.
Esalando fumo entrai nella vita.
Questa è una poesia trainata da cavalli.
Passa sotto i grandi alberi della storia,
tra i delicati gesti dei mortali
sto in piedi, sto ululando.
Io voglio un mondo, questo.
Io mi tolgo il cappello.
Buongiorno signora del piacere!
Periferie selvagge, buongiorno!
***
Marimba
a David Viñas y SaúI Ibargoyen
Este es un poema tirado por caballos,
voy de pie, voy aullando,
una palabra brilla sobre mi lengua seca,
polvorienta,
quiere trazar sus círculos concéntricos en un
agua que cante.
¡arre caballos!
Llevo “todo el hocico en llamas como un feroz ladrido”
(bendito mallarmé).
Yo soy el payador sobre cubierta
apretando una viola frente a la ciudad en ruinas.
Dejen libre la calle,
no canto porque sí,
yo busco un mundo otro.
Yo no enumero la cristalería,
quiero hacerla pedazos.
Este es un poema tirado por caballos.
vean arder mi látigo sobre el viejo tambor de
la poesía.
Háganse a un lado, cargo
un espinazo un fósil atado con alambre,
un enfermo de amor,
una huesera al rojo vivo,
una tumba de besos al fondo de mi carne.
Con este poema vago, divago, briago,
yo payador,
las riendas,
el párpado a los tumbos.
¿Equivocado?
Como el que abrió un paraguas que el sol derribó
a besos,
como el ciego que jura por la luz que lo alumbra.
¡A contrapelo vamos!
¡Volando!
¿Acaso alguien vio un sueño tirado por caballos?
¿Un tatuaje en el muslo que arrastran por el cielo?
Ahora se puede ver.
No hay imposibles en el vértigo de una cama de
bronce (tirada por caballos) donde salo
tu carne de mujer.
¡Arre malditos, vamos!
Agiten sus collares de sangre.
Llevo espuma en la boca,
una navaja en cada mano llevo,
hilachas de otro rostro ganadas con sudor,
y un anzuelo de plumas,
y un as de pocas pulgas.
Yo quiero un mundo, otro.
Este es un poema tirado por caballos,
este es el payador sobre cubierta.
El espectáculo de la persecución estalla y
vienen ya las aves de rapiña,
y las aletas de los tiburones,
y asoma la lava del volcán
y un derrumbe de piedras con el rostro de aquella.
Por eso ¡arre caballos!
Hay que apretar el paso.
Yo espuelas, yo cananas, yo polainas, yo arenga,
atravesando sueños que se anudan en amargas regiones,
osamenta de voces de bruces en la tierra.
El paisaje, el lenguaje.
(No hay quién tome nota de esta respiración agitada).
Cerca del carromato se agrietaron las calles,
nos sigue un ulular,
nos embiste lo incierto.
(En el paquete del futuro no hallarás más que una muleta).
No entienden que yo quiero un mundo,
otro,
yo cabriola, yo baile, yo marimba, yo quiero
el poema danzando sobre mi cabeza,
mi cuello en libertad.
Este es un poema tirado por caballos.
Van mis muertos aquí,
sus huesos hablan con el frío.
Este es un payador sobre cubierta,
sobre sus ojos una ciudad en ruinas.
Alguna vez su lengua fue una bolsa que apenas
aleteaba,
pesada como el cuerpo de un ahogado.
Alguna vez su lengua fue un pedazo de trapo
frente al cuerpo de la belleza.
Ahora quiere cantar. Y dice y grita.
¡que nadie se me cruce!
Voy alerta, de pie,
pañuelo rojo, funyi, cuchillo, banderola,
atravesando sedas que se recuerdan en una
antigua danza,
ángeles de chatarra engominados,
cortinados movidos por un guante vacío
y una cifra tristísima de gente que no está.
Yo soy el payador sobre cubierta
“mis versos van revueltos y encendidos como mi corazón”
(caro martí).
Debo enterrar palabras en el fuego,
urge que entregue un par de cartas,
urge que llegue a un mitin,
debo entonar un himno,
urge que escuche a mi hijo su primera palabra
cuando ella lo oscurece con sus plumas de asombro.
No quiero la palabra saciada de sí misma,
ni la verdad dorada donde no cruje un pájaro,
no quiero almacenar saliva,
ni la tos delicada que recoge su aplauso.
Quiero besar el caos.
Los escombros del cielo no me dan de beber.
Yo soy el payador que quiere un mundo,
otro,
y busca en el polvo del poema acaso una respiración
inútil, boca a boca,
quizá un vaso de sangre donde no quepa ni una
sola gota de miedo.
Así de día, tantos días
que abro los ojos en el barro.
¿Huir de este poema? ¿Arrojarme al vacío?
¿Tirarme por la borda? ¿En los brazos de quién?
¿Qué supuesta pureza? ¿En qué animal de signos
que no sea este relámpago?
El lenguaje, el paisaje.
No me muevo de aquí,
va echando chispas este sueño.
Vi desfilar el miedo, la infamia, el verso flaco.
los ojos van vendados debajo de los ojos,
la boca amordazada debajo de la boca
y una lengua estaqueada a mitad del silencio.
Yo soy el payador sobre cubierta.
No canto porque sí.
Humeando entré a la vida.
Este es un poema tirado por caballos.
Cruza bajo los grandes árboles de la historia,
entre los delicados gestos de los mortales
voy de pie, voy aullando.
Yo quiero un mundo, éste.
Yo me quito el sombrero.
¡Buenos días señora del placer!
¡Arrabales salvajes, buenos días!
Dice l’autore in Itinerario di un viaggio (prologo alla sua antologia personale Occhi della parola):
«Ogni poetica ha una genesi diversa. Nel mio caso è associata al porto in cui nacqui. E pure a una volontà di afferrare vite, personaggi, trame, fatti quotidiani infimi –straordinari per quel bambino del molo– che fecero sorgere una lunga catena di domande.
Colui che nasce in un porto nasce con il viaggio addosso; dunque, una volta lanciato sulla strada, sentii che il girovagare dava un respiro alle mie poesie, un affanno del transito. Il viaggio mi tirò fuori dal confinamento del luogo fisso e mi collocò nell’attrazione per il percorso, l’apertura verso nuove incognite, la tensione degli opposti, il concorrente vagabondare, il senso ludico e rischioso dell’andare, la possibilità di collegarmi alla storia dei sobborghi e agli sciami del bosco al di fuori delle usanze, includendo ciò che è diverso.
Credo che tutti i temi della poesia convergano in ultima istanza in uno solo: quella vertigine che chiamiamo “tempo”. E così, quali passeggeri di un’esistenza effimera, ci ritroviamo a viaggiare in un transito con stazioni intermedie nei territori della passione, l’essere straniero, la speranza, la solidarietà, la lotta, il godimento, in un universo abitato da personaggi dell’immaginario di Fellini, di Chaplin, di Bradbury, che camminano con zelo insieme a noi nelle pieghe di un mondo troppo quadrato, volgare, meschino e autoritario».
***
Dice el autor en Itinerario de un viaje (prólogo a su antología personal Ojos de la palabra):
«Cada poética tiene una génesis diferente. En mi caso está asociada al puerto donde nací. También a una voluntad de asir vidas, personajes, tramas, sucesos cotidianos ínfimos –y extraordinarios para aquel niño del muelle– que suscitaron una larga cadena de preguntas.
El que nace en un puerto nace con el viaje puesto; así que una vez lanzado al camino sentí que el deambular le daba una respiración a mis poemas, un jadeo del tránsito. El viaje me sacó del confinamiento del lugar fijo y me instaló en la fascinación por el recorrido, la apertura a nuevos interrogantes, la tensión de los opuestos, el vagabundeo concurrente, el sentido lúdico y azaroso de todo andar, la posibilidad de conectarme con la fábula de los arrabales y los enjambres del bosque por fuera de las costumbres, incorporando lo diferente.
Creo que todos los temas de la poesía se refunden finalmente en uno: ese vértigo que llamamos “tiempo”. Así, como pasajeros de una existencia efímera, estamos echados al viaje en un tránsito con estaciones intermedias en los territorios de la pasión, la extranjería, la esperanza, la solidaridad, la lucha, el goce, en un universo habitado por personajes del imaginario de Fellini, de Chaplin, de Bradbury, que caminan con afán junto a nosotros por los reversos de un mundo demasiado cuadriculado, vulgar, mezquino y autoritario».
Jorge Boccanera (Argentina, 1952) è poeta, critico e giornalista. Ha pubblicato, fra altri titoli di poesia, Contraseña, Música de fagot y piernas de Victoria, Los ojos del pájaro quemado, Polvo para morder, Sordomuda, Bestias en un hotel de paso, Palma Real e Monólogo del necio. E le antologie personali Marimba, Servicios de insomnio, Libro del errante, Animales borrosos, Poemas tirados por caballos, Cartas de nadie a nunca e Sombra de dos lugares. È autore, inoltre, del volume di racconti La pasión de los poetas, e dei saggi Juan Gelman: Confiar en el misterio e Poesía de Luis Cardoza y Aragón. Sólo venimos a soñar. Ha ricevuto i premi Casa de las Américas (Cuba), Camaiore Internazionale (Italia), Gran Premio de Honor Fundación para la Poesía (Argentina), il Premio Internazionale Ramón López Velarde (México), Casa de América (España) e l’onorificenza Poetas del Mundo Latino (México). Ha impartito corsi di poesia nelle università del Cile, della Colombia, Spagna e Costa Rica.
***
Jorge Boccanera (Argentina, 1952) es poeta, crítico y periodista. Publicó, entre otros títulos de poesía, Contraseña, Música de fagot y piernas de Victoria, Los ojos del pájaro quemado, Polvo para morder, Sordomuda, Bestias en un hotel de paso, Palma Real y Monólogo del necio. Y las antologías personales Marimba, Servicios de insomnio, Libro del errante, Animales borrosos, Poemas tirados por caballos, Cartas de nadie a nunca y Sombra de dos lugares. Es autor, además, del volumen de relatos La pasión de los poetas, y de los ensayos: Juan Gelman: Confiar en el misterio y Poesía de Luis Cardoza y Aragón. Sólo venimos a soñar. Recibió los premios Casa de las Américas (Cuba), Camaiore (Italia), Gran Premio de Honor Fundación para la Poesía (Argentina), el Premio Internacional Ramón López Velarde (México), Casa de América (España) y el galardón Poetas del Mundo Latino (México). Ha impartido cursos de poesía en universidades de Chile, Colombia, España y Costa Rica.
Roberta Buffi è una scrittrice italiana nata a Fermignano, provincia di Pesaro e Urbino. Ha tradotto in italiano autori di lingua inglese come William Blake, John Ruskin e Henry James, e autori di lingua spagnola come Antonio Gamoneda, Marga Clark e Alejandra Pizarnik. Risiede a Madrid dove lavora come insegnante di inglese. Ha studiato presso le università di Edimburgo (Scozia), Klagenfurt (Austria) e si è laureata in Lingue e Letterature Straniere Moderne presso l’Università di Firenze. Ha inoltre conseguito il dottorato di ricerca in letteratura australiana presso l’Università dell’Australia Occidentale.
Dall’italiano allo spagnolo, ha tradotto poesie inedite di Pier Paolo Pasolini e un’antologia della poesia italiana contemporanea. Come autrice, Buffi ha scritto La morte qualunque (romanzo) e i libri di poesie: Cose d’amore e anima, Il libro di Alma, All’ultima persona che siamo, D’après Auguste Rodin, tutti pubblicati in italiano, e la raccolta di poesie scritte in spagnolo e pubblicato a Madrid: Cento Haiku delle stagioni inquiete.
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Roberta Buffi es una escritora italiana nacida en Fermignano, provincia de Pesaro y Urbino. Tradujo al italiano autores de lengua inglesa como William Blake, John Ruskin y Henry James, y autores de lengua española como Antonio Gamoneda, Marga Clark y Alejandra Pizarnik. Reside en Madrid donde se desempeña como profesora de inglés. Estudió en las universidades de Edimburgo (Escocia), Klagenfurt (Austria) y se graduó en Lenguas y Literaturas Extranjeras Modernas en la Universidad de Florencia. Posee también un Doctorado en literatura australiana de la Universidad de Australia Occidental. Del italiano al español, tradujo poesía inédita de Pier Paolo Pasolini y una antología de poesía italiana contemporánea. Como autora, Buffi escribió La muerte cualquiera (novela) y los libros de poesía Cosas de amor y alma, El libro de Alma, A la última persona que somos, D’après Auguste Rodin, todos publicados en italiano, y el poemario escrito en español y editado en Madrid: Cien haikus de las estaciones inquietas.
in copertina: foto di Jorge Boccanera





